Sabato sera
io e mia moglie festeggiavamo dieci anni di matrimonio. Sapete com’è, noi
maschi ce li dimentichiamo spesso questi anniversari, ma le donne no. È come se
tenessero un’agenda invisibile sulla quale annotano ogni cosa, ogni giorno che
secondo loro vale la pena di essere ricordato: il compleanno di quella,
l’onomastico di quell’altro, quando è caduto il primo dentino al bambino,
eccetera eccetera.
Insomma, per
farla breve, la mia Sandra viene in salotto e inizia a strusciarsi come una
gattina che fa le fusa «Sai che giorno è amore? » dice
«È venerdì»
ho risposto subito sicuro.
«sì, ma che
data? »
«non lo so,
mi pare il 29» ho detto
«il 29
giusto» ha fatto lei continuando a strusciarsi «e cos’è successo il 29 marzo di
dieci anni fa? »
Io stavo
per rispondere, “e che ne so di che è successo il 29 marzo di dieci anni fa, ma
perché voi donne siete sempre così misteriose? Criptiche? Dimmelo e facciamola
finita, no?” Ma poi ho capito che c’era qualcosa sotto. L’ho guardata negli
occhi, lei ha sorriso e con le sopracciglia sollevate mi ha imboccato la
risposta, e allora ci sono arrivato «Ci siamo sposati! » ho detto quasi
urlando, poi mi sono alzato dal divano e ci siamo abbracciati proprio lì, in
mezzo al salotto. Siamo rimasti a lungo così, e alla fine mi ha detto che le
sarebbe piaciuto andare al cinema per festeggiare.
Più tardi, mentre andavo in bagno per farmi
la barba, sono passato davanti alla porta di camera e l’ho vista che si
rimirava nello specchio; allora mi sono bloccato un po’ in tralice dietro lo
stipite e ammetto di averla spiata più di quanto avrei dovuto. Si era già messa
tutta in ghingheri, e osservava soddisfatta la sua figura riflessa di profilo: ora
di qua, ora di là, con la testa da una parte, poi dall’altra, lisciando un po’
a sinistra la gonna, strizzando la pancetta per tirare su i seni; e sorrideva
la mia Sandrina, tutta contenta sapete? Era bella, proprio come il giorno che
ci siamo sposati. È andata al comò e si è spruzzata un po’ di quel profumo che
metteva sempre da giovane quando eravamo ancora fidanzati. Non glielo sentivo addosso
da chissà quanto tempo, almeno da quando ha iniziato a non stare molto bene.
Mi sono fatto la barba e mi sono vestito.
Ho pensato che non volevo essere da meno e così anch’io mi sono improfumato con
la prima cosa che mi è capitata sotto mano. Più tardi, in auto, tra il mio e il
suo di profumo sembravamo proprio una di quelle coppiette di ragazzi che ancora
vogliono fare una buona impressione sull’altro, ce l’avete presente? Quando
ancora non è diventato tutto scontato, banale, monotono e ci si arrende a
quella deriva matrimoniale che poco alla volta anestetizza i sentimenti e mette
la sordina a ogni cosa. Fuori pioveva, ma noi, al sicuro e al calduccio all’interno
dell’auto ci gustavamo in silenzio il nostro angolino di paradiso super
profumato. Lei mi ha preso la mano e io gliel’ho stretta forte, e in quel
momento ho avuto chiara la sensazione che tutto si sarebbe sistemato, che tutto
sarebbe tornato ad andare nel verso giusto.
Il film, lo dico subito, non mi è piaciuto.
L’ha scelto lei, ma questo non significa molto. Non mi piace andare al cinema,
questo è il punto. Avrei potuto sceglierlo io e sarebbe stato la stessa
identica cosa. Ma quella sera (parliamoci chiaro, siamo tra adulti) il cinema
era solo il contorno al piatto principale, che sarebbe arrivato più tardi, una
volta giunti a casa. La cornice necessaria a imprigionare l’immagine del nostro
amore che dopo dieci anni di alti e bassi finalmente si rimetteva in
carreggiata e riprendeva a volare in alto, sopra i pensieri e tutte le altre
cose. Sandra era di nuovo con me, era tornata quella di prima, e mi teneva la
mano mentre guardava il film con la testa poggiata sulla mia spalla. Quando
sono partiti i titoli di coda è stato come se mi avessero dato una coltellata
perché non volevo che sollevasse la testa, che si staccasse da me.
Fuori aveva smesso di piovere, e ci siamo
tenuti la mano mentre camminavamo verso l’auto facendo commenti sciocchi sul
film; poi, quando l’abbiamo raggiunta ho fatto una cosa che non so neanche io
da dove mi è uscita: ho fatto il giro di corsa tutto sorridente e le ho aperto
la portiera per farla salire «Ti amo sai? Ti amo davvero Fausto» ha detto lei guardandomi
con occhi, a parer mio, un po’ troppo malinconici visto quanto eravamo felici
in quel momento. Ho guidato piano per
tornare a casa perché intanto nell’auto si erano ricreate le stesse condizioni
favorevoli di prima, e nel silenzio dell’abitacolo sembrava che potessimo
addirittura sentire i nostri pensieri vibrare nell’aria e giocare a rincorrersi.
Appena entrati in casa lei ha ripreso gli
strusciamenti di prima e voleva subito passare al sodo. Anch’io lo volevo
credetemi, ma forse sarà stato tutto quel profumo, oppure il film noiosetto, ma
insomma… mi era venuto un po’ di sonno e allora le ho chiesto di farmi un caffè;
e subito nella mia testa è comparsa la voce «Dai…non lo vedi che la
pollastrella ti brama? Lascia perdere il caffè su…» e io ho risposto
mentalmente «un caffè veloce, e che sarà mai un caffè? » poi un’altra voce, che
si è unita alle nostre «Sì, sì, lasciale fare un caffè. Vediamo che cazzo ti
combina questa volta».
La Sandra mi guardava impaurita, come se le
avessi chiesto chissà cosa, e mi dispiaceva moltissimo perché fino a pochi
istanti prima eravamo un tutt’uno e io non volevo che avesse paura di me. Ero
suo marito, e le volevo un bene dell’anima anche se non era stata molto bene
ultimamente. È rimasta impalata a
guardarmi con gli stessi occhi malinconici di prima, poi si è voltata e si è
avviata lemme lemme verso la cucina, tutta in ghingheri e profumata per andare
a farmi il caffè.
Io mi sono lasciato cadere sul divano ed ho
acceso la tv «ecco… ora vedrai vedrai» ha ripreso la voce «signori per l’amor
di Dio manteniamo la calma» ha fatto eco l’altra «sono tranquillissimo. Mi
vedete no? Sono tranquillissimo» ho risposto io. Sono passati non so quanti
minuti e proprio quando stavo per alzarmi e andare a vedere perché non tornava
l’ho sentita arrivare.
Oddio, a dire il vero sentivo la tazzina
che faceva rumore nel piattino di ceramica perché alla Sandra tremavano le
mani. Mi è dispiaciuto tanto vederla in
quelle condizioni, ma dopotutto che le avevo chiesto? Un caffè Cristo Santo! Un
misero caffè. L’ha posato sul tavolino in vetro davanti al divano e ha fatto
per andarsene «Fermala! » ha urlato la voce «Falla rimanere, vediamo cos’ha da
dire la scema» l’altra voce ha tentato una mediazione «Signori» ha tuonato con voce ferma e autorevole «visti i precedenti
io sarei portato a dire che, considerata la significativa ricorrenza odierna, ma soprattutto (aggiungerei) le cause sciocche che scatenano gli episodi…»
«siediti amore» le ho detto invece io estremamente calmo «prendo questo caffè
e sono subito da te» l’ho presa per un
polso e l’ho invitata a sedersi accanto a me.
Ho portato la tazzina alla bocca, ho
ingoiato a fatica un sorsetto, poi con un manrovescio assestato come si deve le
ho aperto il labbro superiore; bisogna dire che la Sandra ha dimostrato non
poco coraggio: l’ultima volta le ho detto che se scappava ne buscava ancor di
più e infatti non ha cercato di fuggire, è rimasta lì con gli stessi occhioni
malinconici a guardarmi e a mugolare appena «Visto? Visto? Cosa ti avevo detto?
Te l’ha bruciato! Lo fa apposta! » urlava la voce nella mia testa «Guarita un
cazzo! È matta, MATTA! Neanche un caffè decente…» e aveva ragione, cazzo se
aveva ragione. Era quella la donna che avevo sposato? Una stronza incapace di
fare qualsiasi cosa? L’altra voce ha provato come sempre a sistemare le cose «Io
credo che faresti meglio a uscire per fare due passi, le premesse non
rispecchiano certo le…» una parlava da una parte, l’altra rispondeva dall’altra,
e io preso nel mezzo a quel frastuono che mi sembrava d’impazzire. Ho tentato
di buttarle fuori giuro, con tutto me stesso, di farle uscire dalla mia testa… ma
poi è come se fosse scattata una molla da qualche parte e il resto è venuto
praticamente da solo.
Ero già balzato in piedi di fronte a lei
che cercava di ripararsi la testa in qualche modo, quando nel cervello mi è
esploso fortissimo un odore di bosco, di pino e faggio, di terra umida; e allora
mi sono sentito come un cavallo lanciato a folle velocità nella bruma del
mattino, col vapore che mi usciva dalle narici spalancate. Poi odore di mare
mosso, di cavalloni e schiuma, e io prendevo sempre più velocità, con le zampe
che mordevano il terreno e i muscoli del petto tesi all’inverosimile, nitrivo e
scuotevo la testa che era un piacere. Godevo cazzo, godevo come un pazzo,
finalmente a contatto con quella natura che devo sempre tener nascosta. L’ultima cosa che ricordo è il caffè bollente
che atterra sul bel volto di mia moglie, poi tutto si è fatto buio intorno a me
ed è stato in quel momento che mi sono letteralmente staccato da terra e ho
iniziato a volare; leggero come una piuma, potente come un Dio.
Nessun commento:
Posta un commento