Ieri sera è passata la vedova a riscuotere
l’affitto. È invecchiata in fretta, come una mela morsa e lasciata lì. La
conosco da più di trent’anni ma il suo nome non sono mai riuscito a fissarlo da
nessuna parte; qualcuno me lo diceva e pochi secondi dopo era già scivolato
via, inafferrabile. La verità è che questa donna ha sempre vissuto all’ombra
del marito, un omone dal carattere ingombrante, proprietario del fondo dove ho
il panificio. Bastava lui con la sua presenza, o in alternativa, l’idea
carismatica che proiettava di sé a sbiadirla, a renderla incorporea, eterea.
Per tutti è sempre stata la moglie di Sandro prima, e la sua vedova dopo,
così: senza arrivare mai a meritarsi un vero nome.
È entrata quasi in punta di piedi, col
foglietto in mano, sorridendo timidamente, come si vergognasse nel dover assolvere
lei adesso a quell’obbligo tanto volgare.
«Ti ho portato la ricevuta Enrico»
«Sì, aspetti…» sono andato alla scrivania e
ho preso l’assegno che avevo già preparato.
«Ecco» ho detto porgendoglielo. Si guardava
intorno, nei suoi occhi un misto di tristezza e rassegnazione, ma anche una
strana curiosità. Ha preso l’assegno con la punta delle dita appena, come una
cosa schifosa lasciata a penzolare.
«Allora ci vediamo tra un mese» ho detto,
facendo per tornare ai miei impasti.
«Sì, a tra un mese» ha risposto lei, senza
però muoversi.
Poco dopo mi sono voltato e lei era ancora
laggiù, immobile, che ci guardava lavorare. Ho scambiato qualche parola col mio
collega per escluderla e spingerla ad andarsene, ma non è servito a nulla. Alla
fine le ho rivolto un sorriso perché in fondo sono un animale ben educato.
«È un bel mestiere, no? » l’ho sentita
dire.
«Come? »
«È un bel mestiere, dicevo»
«Sì. Sì, certo. Non fosse per gli orari…»
«Eh, sì. Gli orari sono tremendi» ha
convenuto. È rimasta a lungo in silenzio.
«Sì, ma alla fine uno vede cos’ha fatto,
no? »
«Come dice? »
«Insomma… farina, acqua, e dal nulla fate
il pane. Uno vede quello che fa alla fine, no? Dev’essere una bella
soddisfazione vedere qualcosa di realizzato»
«Ah, sì sì… per quello è vero. È una bella
soddisfazione» ho risposto io.
Ha buttato un’ultima occhiata tutt’intorno
prima di salutare «Allora ci vediamo, grazie» ha detto, ma era chiaro che
avrebbe preferito restare ancora un po’.
«Arrivederci» ho risposto, scortandola con
lo sguardo fino alla porta.
Non ricordo il nome, ma la luce negli occhi
che aveva ieri sera credo non la scorderò mai: lo stupore angosciato di chi si
accorge all’improvviso che la propria esistenza è scivolata via, goccia dopo
goccia, senza averne bevuta neanche un sorso, di chi urla con gli occhi “è
successo tutto agli altri”, di chi parte per una grande impresa, per poi
scoprire che ne farà parte solo in veste di comparsa.
Mi è sembrato di vederla là fuori, sistemarsi
il collo del giubbotto per ripararsi dal freddo prima di avviarsi; con la pesantezza degli alibi nei passi, la vita morta pigiata in fondo alle tasche, e
andare incontro alla notte: gelida, vuota.
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