martedì 10 settembre 2013

L'ombra. Biografia di un passato (un racconto)










Ho sentito proprio “tac”, di nuovo. Si è spezzata la cima che mi teneva ancorato al molo e ho iniziato a muovermi. Mi sto allontanando, senza dubbio. Dovrei stare calmo ma non ce la faccio, ho preso anche a tremare, guarda che roba. Più mi agito più mi allontano. E più mi allontano più diminuiscono le possibilità che qualcuno riesca a soccorrermi, a dare una mano, lo so. Brutta bruttissima  sensazione, allontanarsi, avventurarsi in mare aperto così… senza poter fare niente. Nessuno, niente, la spiaggia è deserta inutile anche urlare; Sono solo.
    Forse è proprio così che è iniziata. Me ne stavo troppo solo, in disparte, è stata colpa mia. Ma a me piaceva starmene  in disparte, facevo mica male a nessuno io. 
    E’ difficile da spiegare, dovreste vedere con i miei occhi , sentire con quello che sento io , perché se uno la racconta mica gli credono mai fino in fondo. E’ come un vuoto che ti risucchia da dentro e tu che collassi su te stesso, un allontanamento involontario inevitabile, una specie di esilio della ragione.  Vedo la riva, è subito lì proprio davanti a me, ma per quanto mi sforzi di tornare indietro, non faccio altro che peggiorare la situazione. Dovevo imparare a nuotare! Quello potevo farlo, anzi, dovevo farlo ! Tutti i miei amici sanno nuotare (più o meno)  Li ho visti io , con i miei occhi, avventurarsi belli baldanzosi tra i cavalloni, mentre io  rimanevo sempre un po’ indietro, sul bagnasciuga, senza fiato,  a registrare il  fallimento.  Dovevo chiedere a mio fratello. Lui si che sa come si fa.  Lui si che sa cavarsela in tutte le situazioni. Non lascerebbe certo  la barchetta allontanarsi  troppo dalla riva. Un tuffo, una bella nuotata e sarebbe già di ritorno ! E magari tutti li, mio padre , mia madre, parenti , amici, tutti ad applaudire <<Ah, mio figlio!>> Papà gli mollerebbe una bella pacca affettuosa sulla spalla, come si fa con i compagni di  bevuta, i compagni di “team”, i vecchi compagni di classe che rivedi dopo tanto tempo. Poi, alla fine, non dimenticherebbe certo di voltarsi verso di me facendo quell’espressione così falsa che ormai tutti devono girare la testa  da un’altra parte e fingere di non averla neanche vista tanto è imbarazzante <<Sono orgoglioso anche di te sai?>> vorrebbe dire quella faccia << Non farti venire strane idee per la testa. Per me siete uguali>>

    Che mi sarebbe costato chiedere aiuto? <<Hey mi aiuti ?>> mi avrebbero preso un po’ in giro d’accordo  <<Come>> avrebbero detto additandomi come un fenomeno da baraccone   <<Ventisette anni e non sai ancora nuotare? Ragazzi, guardate un po' questo!>> ma qualche anima gentile s’incontra ancora, NO?  Ed eccomi qui; Gran bel guaio.  La paura che  toglie il fiato, che gela il sangue; Il vecchio adagio di sempre. E poi c’è questo peso enorme che sento proprio qui, all’altezza del cuore. Ma non c’è niente, neanche una catenina, nulla . Non so se riesco a spiegarmi bene. E’ probabile di no. E’ probabile che questa angoscia cominci presto anche a farmi sragionare. E allora si che sarebbero  guai. Allora si che anche se dovessero trarmi in salvo in qualche modo, se sentissero che sragiono, tirerebbero un calcio alla barchetta e mi ributterebbero indietro;  e tanti saluti.
    E’ buio, buio intorno e dentro di me. Dev’essere sera, ma non me ne frega niente. Ormai riesco a malapena a distinguere qualche luce qua e là, dovrei mangiare, mangiavo sempre a quest’ora ma non ho fame. L’ho fatto. Sono in mare aperto. Adesso non c’è più nessuna possibilità di salvezza. Magari una nave di passaggio? Macché…  Parliamoci chiaro: Quante sono le probabilità che questa insignificante barchetta venga avvistata in mezzo a tutto questo mare?  Ma anche se accadesse, se fossi avvistato in difficoltà tra le onde, qualcuno si prenderebbe forse la briga di deviare e venire a soccorrere un perfetto sconosciuto?
“Finché c’è vita c’è speranza!” Ma è vita questa? E possibile una vita così? Tutto solo, in mezzo al mare? Non si arriva forse ad augurarsi una bella tempesta di quelle vere, spaventose….  la barchetta che si rigira, e tu che vai giù, e ancora più giù, fino in fondo, fino alla fine. E poi la pace, il silenzio, e poi più nulla, fine delle trasmissioni, fine di tutto, anche della sofferenza. 
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    Non so come mi possono essere venuti certi pensieri ieri. Capitemi un po’ per favore, lo sconforto, la paura, la sensazione d’impotenza. Ah! Ma oggi no. Oggi è stato un giorno incredibile. Fin dall’inizio mi sono reso conto di quanto sciocca e immotivata fosse  la mia paura. Che c’è di male a starsene un po’ soli in fondo?  A chi non viene voglia prima o poi di allontanarsi un po’  dagli altri? 
    Spesso mi sento dire “sei sempre triste , ma che hai? Non ti manca niente ” E’ vero, ok… ammetto, è indubbiamente vero. Molto spesso sono triste, e non mi manca niente.  Il fatto è che io conosco la felicità!  Si ma quella vera, eh! Quella con la F maiuscola, quella che smette di essere cosa astratta di cui un po’ tutti si riempiono la bocca,  e prende corpo fino a diventare concreta,  un piccolo sole che senti di poterti infilare in tasca. Non una cosetta da niente, di quelle che capitato agli altri insomma. No, no! Io sto parlando della “cosa vera” . Quella che succede solo a quelli come me dopo una lunga astinenza, che ti fa il solletico al cuore, che ti manda giù nei polmoni quella buona arietta effervescente , che ti fa affrontare ogni tipo di problema come se fosse niente, che ti da coraggio per spiegare il tuo punto di vista su questo e quello, e che ti fa pensare che in fondo c’è del buono un po’ in tutti, devi soltanto sforzarti di  stare te un po’ più sul pezzo.  E arriva moltiplicata per i giorni in cui se n’è restata ingabbiata là dentro chissà dove. E quando arriva, quando succede,  la sento subito e mi accorgo di esserci immerso fino ai capelli, allora mi dico  “Ecco ora sono felice. Anzi no. Sono davvero felice” ma poi subito dopo mi viene da pensare “Questo momento mi mancherà” 
    Mi ha svegliato una canzone. Non è niente di speciale lo so, ma per me ha  grande valore  e nei momenti belli spesso mi salta in mente così; da sola. Ho provato a farla ascoltare agli  altri, alla mia ragazza, ai miei amici , ma a loro non dice niente. Sapete com’è, una cosa si appiccica a un momento preciso, alla magia di una situazione, e diventa involontaria coprotagonista di un momento solo vostro. E allora si sente l’urgenza di condividere la gioia con gli altri, di fargliela sentire anche a loro, perché siamo così buoni in fondo , no? E non si vogliono  privare gli altri di tutto quel ben di Dio. Ma quando lo si fa, quando poi si condivide, gli altri non capiscono, a loro non dice nulla, e si resta sempre un po’ delusi dalla loro ottusità, dalla loro ignoranza. 
    E’ iniziata con un sole che non lasciava scampo alla tristezza, una luce tutta particolare che riflettendo sull’acqua esplodeva in milioni di colori e odori sensazionali, qualche nuvoletta qua e là,  giusto per rendere tutto più credibile. C’era una fragranza squisita nell’aria, un gusto dolce di futuro , di voglia di fare,  di speranza.  E più mi domandavo il perché della tanta sofferenza di ieri e più che non riuscivo a trovare una risposta. Peccato non potessero vedermi, peccato essere così distante da tutti  in un momento del genere.
    Insomma sonnecchiavo tranquillo, l’acqua sciabordava stanca col  brusio di  sempre  intorno alla barchetta , il sole mi solleticava la pelle e c’era questa canzone che mi girava nella testa. E allora ho iniziato a vedere le cose, ho iniziato a ricordare, ho iniziato a sentire.  Mi sono detto:  <<bene  ora mi tuffo e torno indietro. Ce la posso fare, non sono così distante dopo tutto, verranno a prendermi. Avranno già organizzato i soccorsi, staranno già cercandomi, forse dovrei davvero andar loro incontro, e tutto sarebbe più semplice. I miei saranno preoccupatissimi. Non voglio che siano preoccupati i miei. Lavorano già tanto e non voglio aggiungere loro altre preoccupazioni, altri patimenti>>  E invece ho ceduto alla pigrizia. Ok, lo so, lo so,  non dovevo ma è proprio andata così. Troppo bella la sensazione, volevo farla durare più a lungo possibile, avevo paura che svanisse non appena mi fossi mosso “Posso sempre buttarmi e nuotare fino a riva quando torno ad essere triste” ho pensato.
    Sono quasi riuscito a non vedere l’ombra per tutto il giorno.  “Ombra”?    Si, bé ormai l’ho detto. Non volevo… Mi spiego. C’è , e metto subito le mani avanti dicendo che non so assolutamente da quanto tempo, insomma c’è questa cosa. Io la chiamo ombra, ma forse non è neanche il termine esatto. E’ più un languore di catastrofe,  una grinza sull’anima. E si manifesta  diciamo appunto come un’ombra all’orizzonte di quei pochi pensieri felici che ogni tanto, in giorni particolarmente positivi come oggi,  capitano anche a me. Ecco, diciamo che è sempre laggiù, in fondo . Nei giorni buoni come oggi resta defilata sullo sfondo, disturba appena con la sua  presenza ma solo se proprio mi metto a cercarla con gli occhi. Nei giorni non buoni invece la barchetta s’infila proprio dentro a quella massa scura e allora là dentro può succederti di tutto. La vita resta appesa a un filo e a volte preghi che il filo si spezzi,  e che… no! NO! E NO! Oggi non è andata per nulla così, e io non voglio parlare di cose tristi oggi.
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E’ passata una nave stamani. Hanno tirato una cima, il ponte era pieno di gente sporta a guardare giù, verso di me, verso il mio guscio, il mio bozzolo.  E tutti che dicevano  <<Avanti dai. Afferra la fune che ti issiamo a bordo e ti riportiamo indietro. Dai, puoi ancora farcela; Ti faremo parlare. Vedrai che tutto si sistemerà >> Ma oggi non era proprio giornata, e gli ho urlato di andarsene, che non volevo parlare con nessuno, che per quanto mi riguardava potevano portarsi via anche il cibo e tutto il resto, che mi lasciassero soltanto quella canzone , non ho bisogno di altro.  Tutti abbiamo un momento particolare, no? Chi non ce l’ha. Un momento che identifichi subito come quello speciale, che ti torna sempre in mente quando ti metti a frugare tra i ricordi. Magari non è neanche un momento, è un periodo, un tempo. E c’è per forza una colonna sonora appiccicata al vostro momentuccio,  un odore,  un immagine,  non ditemi di no! La mia canzone mi riporta indietro a quando avevo più o meno venti, ventuno anni, ed ero bello giovane e forte ma già  profondamente segnato da quest’animo sempre in affanno. Non che sia vecchio ora intendiamoci, ma essere ancora giovane e bello, adesso come allora, non mi serve a nulla. 
    Navigavo proprio come ora,  a vista, in completa balia delle onde. Non ho mai visto acque più scure e agitate di quelle, ero giovane cazzo, così giovane, eppure già così  malandato. Ma non ho ceduto. Ah no!  Ho tenuto duro perché a quell’età la battaglia è feroce. Il futuro è subito lì che spinge e lotta perché gli si corra incontro. Ho salutato il caro dolce amico ventenne e l’ho abbandonato nella nebbia, tra le braccia dell’ombra e sono tornato indietro.  Ho remato con le mani,  con le braccia, con tutto quello che avevo a disposizione, ho pianto, ho sanguinato, sono morto e risorto tante di quelle volte. Ho gettato come si dice il cuore oltre l’ostacolo, sono riuscito a stabilizzare la barchetta e a fare rotta verso la mia famiglia, verso il domani.    Ricordo ancora il suo saluto imbarazzato  quando partii, i suoi sorrisi stentati, di circostanza <<così te ne vai? Mi lasci tutto solo? Ho un po’ di paura. Ma sono contento per te… è la cosa la migliore da fare. >>  Non gli risposi neanche, lo guardai con occhi  colmi di lacrime e un espressione che la diceva lunga su quelli che fossero i miei sentimenti per quel povero ragazzo così fragile  <<va, va! Ci penso io qui. Torna da loro>> mi disse mentre con il piede allontanava dal molo  la barca  << Spero di non rivederti mai più. Mi mancherai! Fagli vedere chi sei >> Urlò con tutto il fiato quando ormai la nebbia l’aveva già nascosto ai miei occhi. Lo sentii far partire la canzone, la nostra canzone. Ed ecco svelato il mistero. Una malinconia dolcissima, una prelibatezza per pochi intenditori.
Quindi per farla breve, mi sono rintanato ancora di più sul fondo della mia barcuccia e alla fine hanno dovuto per forza di cose desistere. Non potevano certo tentare un arrembaggio, portarmici con la forza a “parlare”. Hanno detto che ritenteranno domani, se Dio vorrà,  hanno detto che forse sarà un giorno migliore,  e mi troveranno più ragionevole.
Non credo che troveranno nulla. Questo vuoto… questo vuoto è inconcepibile, come una lenta, infinita, caduta nell’abisso. Fossi pazzo sarebbe tutta un’altra storia, il fatto è che io  sono perfettamente consapevole di quello che mi sta capitando, e la cosa forse peggiore di tutte è che questo dolore acuisce quello che so arriverà dopo. Ogni attacco mi lascia se possibile più sensibile, più vulnerabile, è come se mi portasse via strati su strati di pelle lasciando scoperti i tessuti, esponendoli  a ogni genere di infezione. Solo che qui s’è  infettato è il cuore. Il dolore, il senso  di  oppressione, il vuoto che sento vengono proprio da lì. Mettiamola così, e tagliamo la testa al toro, che qui con tutta questa bella metafora alla fine  non ci capisco più un cazzo neanche io alla fine.
Il nemico è invisibile, è armato fino ai denti, e ha preso residenza proprio dentro di me. Non si scappa da se stessi.      
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Il mare è calmo oggi. Non c’è un filo di vento. Non sono tornati, non hanno tentato, nessun abbordaggio. Meglio così, meglio che inizino a dimenticarmi. Il risucchio è dolce e affettuoso, la barchetta avanza tranquilla sull’acqua appena increspata dagli ultimi residui della battaglia. L’ombra da vicino non fa paura, anzi. E’ come ritrovarsi faccia a faccia con una persona che avevi visto solo da lontano ,e,  a torto, avevi giudicato male cucendogli addosso un vestito che non era il suo. C’è della poesia in questa leggera nebbiolina, quaggiù le acque del mondo non arrivano a lambire i porti dell’animo, e sussultano fedeli a una recondita passione le foglie della vita.  Si prova un certo benessere a vedere come alla fine la complicatissima matassa si srotola proprio davanti ai tuoi occhi e tutto torna ad avere un senso, una direzione. Com’era semplice in fondo lasciarsi andare, smettere di lottare, rinunciare alla tentazione di esistere e arrivare fin qui, in questa beata agonia,  dove i pensieri diventano specchi, e l’universo, mi sta tutto in una lacrima.
 

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