venerdì 23 agosto 2013

Il topo e la luna (un racconto)




Inutile cercare di spiegarla a chi non l’ha vista, a chi non c’era.  A volte, ripensandoci, perfino io vengo assalito dal dubbio di averla davvero vissuta, di esserci stato veramente quella notte di fine estate, in piazza a vedere l’eclissi di luna.
    Io e il mio amico Simone c’eravamo preparati proprio bene ricordo.  A me ovviamente toccava portare da mangiare. Essendo figlio di fornaio la gente si era in qualche modo messa in testa che in casa mia il cibo lo  si raccattasse semplicemente di terra, che la mamma non avesse bisogno di cucinare,  che allungasse una mano verso il pavimento per poi tirarla su e trovarci, ogni volta, qualcosa di diverso e assolutamente gustoso attaccato.
    In  fondo a me  andava bene così perché di portare i  fumetti da leggere per ingannare l’attesa non se ne parlava proprio. Su quel fronte nessuno poteva battere Simone, proprio come a fare il verso del leone. Anche lì  era imbattibile! Parola mia che l’ho sentito.
     Aveva una conoscenza sconfinata in materia di fumetti,  mentre invece, sul versante cibo, sembrava fare difetto secco allampanato com’era.
   Sognava l’America Simone, la venerava addirittura . Qualsiasi cosa arrivasse d’oltre oceano generava in lui un senso d’ammirazione spontaneo e assoluto. Ora fa l’idraulico ho sentito dire, e,  cosa peggiore, non si è mosso di un centimetro in ventidue anni; altro che stelle e strisce. Abita ancora lì nella casa dei suoi.  I fumetti li scrivono gli altri,  la vita invece succede proprio a noi, e, di solito, ci  capita un po’ come vuole lei. 

 <<Ce n’hai messo di tempo cazzo>> mi disse subito, tanto per chiarire le parti  appena giunsi ai piedi dell’enorme statua  posta al centro della piazza <<Sto morendo di fame>>
<<Scusa. Dovevo aspettare che tornasse mio padre. Non potevo venire prima>> dissi allargando le braccia
<<Si ma… >> non terminò la frase. Rimase invece a osservare  l’enorme grumo di saliva che dopo aver fatto dondolare a lungo dalle labbra,  lasciò cadere  vicinissimo ai miei piedi <<Va beh, dai sali>>
<<Ma come faccio? Son mica buono a scalare io . Credevo rimanessimo giù>>  dissi con la testa quasi completamente rivolta in alto. Era in qualche maniera riuscito ad arrampicarsi  su una spalla di Savonarola , che,  con aria severa sembrava  guardare proprio me e ammonirmi a non provarci neanche  <<Cazzo Miche! Sei proprio un frocetto>> disse scoppiando a ridere << come credi che sia salito io?>> rispose iniziando l’incubazione di un altro proiettile di saliva
<<da lì?>> chiesi indicando la tunica del religioso che in prossimità del terreno s’increspava creando una specie di scalino  <<hm..hm>> rispose muovendo su e giù la testa, facendo oscillare avanti e indietro l’enorme goccia biancastra
    La busta con i panini m’impacciava i movimenti. Simone se ne rese conto prima di me <<Tiramela>> disse dopo aver sganciato,  allungando le braccia <<Così se ti rompi l’osso del collo almeno io ho da mangiare>> sussurrò come per non farsi sentire, con la solita faccia indecisa tra ridere o restare seria .  La piazza a parte noi era completamente deserta, ma insomma, certe cose si dicono meglio sottovoce, suppongo.
    Presi alla lettera il consiglio. Un po’ perché quella di sfamare il prossimo era considerata una vera e propria missione in casa mia, una cosa che nessuno aveva mai preso alla leggera. E poi perché effettivamente una volta liberatomi del fardello mi sarebbe stato più semplice tentare la scalata. <<Hai portato i fumetti?>> chiesi sorprendendomi a sussurrare anch’io
<<Si>> disse sventolandoli <<Guarda qua.  Appena arrivati da New York>>
<<Credevo venissero dalla California>>
<<In California non sono capaci di fare fumetti, cretino! C’è troppo sole laggiù . Questa roba ha bisogno della pioggia.> disse torcendo le labbra disgustato  <<Dai, tira questa cazzo di busta>>  Servirono ben sei tentativi, per ognuno dei quali Simone coniò in mio onore  nuove e simpatiche offese. Alla fine la busta rimase in qualche modo impigliata al dito accusatore di Savonarola, e il mio amico si allungò appena il necessario per afferrarla. Adesso aveva tutto lui:  Cibo, fumetti, e vista privilegiata. 
<<togliti le scarpe, fai più presa>>  disse col tono vuoto e  monotono di uno scalatore professionista scocciato,  alle prese con un dilettante. E in effetti, una volta tolte le scarpe la cosa si rivelò abbastanza semplice. I piedi sembravano come appiccicarsi al marmo, che, a torto, avevo invece sempre considerato estremamente scivoloso.
<<… non c’è da bere! Moriremo strozzati >> fu il suo benvenuto, quando, dopo un ultimo sforzo, riuscii a raggiungere la vetta e a mettermi seduto sull’altra spalla del frate. <<eh… >> risposi ansimando.  Mi guardò sospirando profondamente, poi scosse  la testa deluso.
Rimanemmo a lungo in silenzio, a fissare gli alberi di fronte.  Chi conosceva Simone sapeva che spesso si assentava,  attraversava una barriera invisibile ed entrava nel suo posticino privato . Si metteva a fissare un punto da qualche parte, e se ne andava. Si doveva aspettare che tornasse, semplicemente.
<<che lavoro fa tuo padre?>> chiese dopo aver scosso leggermente il capo, come chi si sveglia da un pisolino involontario.
<<Fornaio>> risposi, provando la solita strana sensazione d’imbarazzo.  Annuì pensieroso e poi  tornò  a fissare gli alberi . Cercai qualcosa da dire prima che mi lasciasse di nuovo <<il tuo invece?>> chiesi << che  fa?>>
<<Boh, faceva il muratore ultimamente… ora non so>> disse facendo nuovamente quel verso con la bocca<<Non lo vedo mai. Meglio così>>  Si mise a sfogliare i fumetti e ne scelse uno <<Oh! Questo è una bomba>> disse passandomelo <<L’ho letto in dieci minuti oggi>>
<<Ma non si dovrebbe già vedere qualcosa?>> domandai indicando la luna perfettamente tonda e ancora luminosissima
<<Hanno detto alle dieci e diciassette alla Tv. Mancano ancora ventidue minuti>> rispose dopo aver controllato l’orologio
<<Al mio ne mancano diciannove>>
<<Fa vedere>>
    Allungai il braccio passandolo  davanti alla faccia del frate, sentii che mi afferrava il polso <<Ma questo orologio è uno schifo>> esclamò ridendo <<ma perché vai in giro con quella porcheria? Guarda questo>> disse allungando il braccio verso di me <<E’ Belga>> disse infondendo una certa  sacralità al tono di voce < Dopo gli Svizzeri sono i migliori a fare gli orologi>> In effetti era davvero un bell’orologio <<chi te l’ha regalato?>> chiesi
<<niente… >> rispose <<… non ricordo>> e se ne partì per un altro viaggio che mi augurai fosse breve.
<<Mio padre dice che inizia con un’ombra>> dissi dopo un po’, per farmi compagnia più che altro <<Cioè, dice che si vede prima un po’ sfuocata la luna, prima che inizi a scomparire piano piano, come se la rosicchiasse un topo. Ha detto proprio così,  giuro ; un topo>>
<<Eh?>> l’avevo tirato fuori da chissà dove <<Ah. Un topo. Si si , tuo padre ha ragione. Confermo>>
<<Ma perché scusa tu l’hai già vista?
<<No>>rispose tranquillamente
<<E allora come lo sai?>>
<<Perché tuo padre mi ha sempre spirato fiducia. Mi sembra uno in gamba>> Non aggiunsi nulla. Solo  mi pareva strano che le sue convinzioni astronomiche si basassero sulla parola di un panettiere, ecco.
<<A che ora devi tornare tu?>>chiesi << io posso rimanere fino alle undici e mezza. Mi hanno dato zero flessibilità. “ Le eclissi non è che ritardano o cosa” dissi  facendo la caricatura della voce di mia madre “se gli scienziati hanno detto le dieci e diciassette sono le dieci e diciassette. Quindi torni alle undici e mezza. E ti va di lusso. Fine della discussione” >>
<<Io posso fare tardi. Frega nulla a nessuno in casa mia>> rispose sputando giù  <<Dai leggi, stai zitto>> Rimanemmo un po’ in silenzio. Ogni tanto alzavo la testa e guardavo la luna. Mi sembrava strano che tra poco sarebbe scomparsa, nascosta al sole dalla terra. Una cosa talmente grande che faceva male pensarci, eppure stava per succedere e noi c’eravamo!
A un certo punto dietro un albero di fronte a noi mi parve di vedere un movimento. <<Simo>>
<<Si? Che c’è?>>
<<Ho visto muovere dietro quell’albero. C’è qualcuno >>
<<Cazzo dici… ?>> disse alzando la testa dal fumetto
<<Ti giuro. Stavo per guar   ECCO VISTO?>> urlai indicando la testa sporgente dietro il tronco di un platano
<<… si>> rispose con un filo di voce.
<<Ma… che è? Viene verso di noi. E’ lui!>>urlai strozzando la voce  <<E’ lo straccione>> dissi agitando il dito in direzione dell’albero <<Quello che gira sempre...  L’ho visto anche prima venendo qui>> dissi ridendo, ma poi mi fermai. Il mio amico aveva messo su una  faccia così  bianca da fare concorrenza alla  statua. Pietrificato appunto. << Sputagli!>> urlai ridendo <<Dai Simo! Io non ci arrivo>> Niente. Fissava  quella sottospecie di essere umano senza muovere un muscolo. <<Tiragli un panino, magari se ne va>>  Adesso il barbone era ben visibile in mezzo al giardinetto subito di fronte alla statua .
    Nella penombra, appena illuminato dalla luce del satellite che qua e là riusciva a bucare la fitta coltre di rami, quello che una volta era stato senz’altro un uomo, spiccava in tutta la sua misera  essenza.
    E intanto però adesso era successa una cosa davvero strana. Lui e il mio amico Simone si fissavano. Giuro che si fissavano. Sembravano aver attraversato insieme una di quelle pareti invisibili che Simone era solito attraversare da solo, ed erano come entrati insieme a far parte di uno di quegli universi paralleli nei quali io non riuscivo mai a intrufolarmi. 
    Poi d’improvviso, come sempre , Simone si riebbe <<Sparisci!>> urlò ridendo  in direzione del barbone << Vai via! Via, sciò!>> urlava e intanto rideva, ma in modo rabbioso, innaturale. Il barbone allora, lentamente come era comparso, fedele alla sua personalissima eclissi esistenziale, prese a scomparire piano piano dietro al tronco dell’albero << Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!  Via! VIA! >>  continuava a urlare  Simone. Aveva gli occhi iniettati di sangue, nella sua voce c’era più disperazione che divertimento però . In più,  il mento aveva preso a tremargli, come  fosse stato sul punto di  piangere.  Continuò a urlare per non so quanto tempo dopo che il barbone se ne fu andato.
     Io non sapevo cosa fare  ero senza parole, e, ammettiamolo, un po’ impaurito . Mi sembrava una reazione esagerata, sproporzionata, rimasi in silenzio facendomi piccolo  dietro l’enorme testa della statua. Magari si dimentica che sono qui, pensai.
<<Io vado>> disse poco dopo raccogliendo in fretta i fumetti  tutto agitato<<Quello te lo lascio. Me lo rendi domani a scuola>> E l’eclissi? Pensai <<Ma.. l’eclissi?>>
 <<M’importa un cazzo dell’eclissi a me. Me ne capiteranno altre cento… stai a vedere!>> Gettò i fumetti giù e scese in meno di un secondo. Lo guardai andarsene, lasciarmi solo in quella notte che avevamo deciso dovesse essere memorabile. Una volta in strada non iniziò a correre come avevo pensato data la fretta con la quale se n’era andato. Prese a camminare a passo lento, con un incedere  che mi sembrò  subito familiare. Come se quei passi li avessi incontrati già migliaia di volte in vita mia.
    Iniziò proprio come aveva detto papà. Un ombra avvolse dapprima la luna rendendola falsa, poco credibile, una specie di enorme bugia . Ero nel bel mezzo di un fenomeno cosmico. Dodici anni di bambino preso tra il sole e la luna.  Il pensiero mi fece quasi cadere giù . Poi arrivò il  topo, che prese  a rosicchiare senza fretta finché non se la mangiò tutta e fu soltanto oscurità  intorno a me. 
    Allora pensai a Simone e provai pena per lui che non aveva  voluto osservare uno spettacolo così grandioso. Pensai al barbone e provai pena anche per lui, che adesso, con tutta probabilità,  camminava rasente al muro di qualche palazzo spaventato a morte dall’improvvisa scomparsa della sua ombra . Sentii pena anche per il  babbo e la mamma, così  vecchi, così  presi dai loro affanni da risultare ormai  immuni a certe  gioie.
    E pensai anche al povero Savonarola, unico compagno d’avventura rimastomi  in quella strana notte. A quali potessero essere stati i suoi ultimi pensieri prima che accendessero il fuoco . Se avesse pensato a dove sarebbe andato a finire di lì a breve , se davvero in cuor suo credesse alla storia del paradiso.  Su chi, tra la folla urlante, avesse per ultimo posato gli occhi, prima che si facesse buio.

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