CUCINA
<<Insomma
mi dici che cazzo vuoi da me?>>
<<Questo>>
disse l’uomo muovendo in cerchio la mano
con l’indice alzato, come a indicare un tutto immaginario
<<Questo?
Questo cosa? QUESTO?>> Urlò Gemma gettando sul tavolo un mazzo di bollette
scadute.
<<Si
questo. Prendo tutto il lotto>>
I due
rimasero a fissarsi negli occhi <<Tu
sei matto da legare>> disse poi lei scuotendo la testa, tornando ad
armeggiare alla caffettiera.
<<Mamma, il pigiamino dove l’hai messo?>>
<<Sopra la lavatrice in bagno, amore>> rispose
la donna
<<Che
sono matto non è la prima volta che me lo dicono… >>
<<No,
scusa…! Ecco, vedi? Non è mica quello che volevo dire>> disse lei lasciando
cadere le braccia lungo i fianchi <<E’ che non sono brava sai, a
far>>
<<Lo
so, lo so>>
<<Insomma
lo sai in che situazione… no?>>
<<Certo
che lo so>> rispose lui calmissimo. <<Non ti preoccupare. Non me ne frega niente>> disse alzandosi
per abbracciarla.
<<è… è,
che
mi hanno fatto troppo male… vedi? >> tra le braccia di Michele Gemma si lasciò andare a un pianto leggero << Sono
sempre sulla difensiva ora, non mi fido più di nessuno >>
<<E io
sarei il matto? >> sussurrò lui nell’intimità dell’abbraccio << Chi
si è addormentato sotto il sole in pieno agosto senza un minimo di
protezione?>>
<<Vaffanculo>>
rispose lei mettendo su una finta faccia corrucciata <<Fammi
fare questo caffè per l’amor del cielo>> disse poi spingendolo verso la
sedia sorridendo . Le lacrime avevano allentato la presa del rimmel intorno
agli occhi dai quali adesso scendevano due minuscoli rigagnoli neri.
<<E
lei? C’è anche lei, sai?>>
continuò poco dopo indicando con la testa la direzione dalla quale era arrivata
la voce della bambina.
<<Prendo
tutto ti ho detto>>
Gemma
sospirò profondamente. Erano, quanti?
Quasi due mesi che uscivano insieme, giusto? Mai una parola di troppo, mai un
gesto sconveniente, mai che avesse osato spingersi un po’ oltre i soliti baci.
Possibile?
<<Rassegnati,
non hai scampo>> aggiunse Michele
sorridendo.
<<non lo trovo mamma>>
<<Aspetta
qua>> gli fece cenno lei
<<e
chi si muove>>
<<la sopra, vedi? Aspetta, ecco pr…>> La voce era svanita poco alla volta, adesso
probabilmente si trovava in bagno e stava aiutando Doretta a indossare il
pigiamino. Gli occhi di Michele iniziarono a ispezionare la cucina mentre il
naso prese a fare razzia di quel buon odore di confusione e
arance che regnava nella stanza. Il
frigo sembrava una bacheca
universitaria. C’era attaccato di tutto, tranne la targhetta della marca che
era venuta via condensando il suo ricordo in un rettangolo grigio. Anche il
piano della cucina non era messo meglio.
Le manopole del gas erano soltanto tre,
una non c’era più. Studiò le bollette che Gemma gli aveva tirato contro, nulla
che non potesse essere aggiustato.
<<che
fai, spii?>> domandò lei rientrando in cucina
<<effettivamente>>
sorrise <<Dorme?>> chiese
indicando con la testa la porta della cucina.
<<Chi?...
magari tra un paio d’ore, se tutto va bene>>
<<Senti>>
Michele congiunse le mani davanti alla bocca, mettendo gli indici proprio sotto
il naso <<Mi piace questo>>
disse dopo una breve pausa con tono di voce
tranquillo ed estremamente serio
<<Te, la bambina, … quello>> indicò il frigo colmo di buoni
sconto, buste verdi e cartoline gialle. Gemma a disagio cercò rifugio nella fiamma sotto la
caffettiera .
<< Non
farmi andare via stanotte>>
<<Perché?
Dimmi solo perché.>> rispose lei
voltandosi di scatto
Michele
preso alla sprovvista ci mise un po’ prima di rispondere <<… Perché
vorrei guardarti addor>>
<<No
cazzo! Non intendevo quello. Perché lo fai? Cos’è, vuoi sentirti una persona
migliore? Il riccone che s’innamora dell’ex puttana
drogata? Eh? Avanti! Parla, che non ho tempo da perdere. C’ho una figlia da
crescere io! Sono già tutta piena di
lividi, non ho bisogno di farmi ancora del male>>
<<E’
dura da spiegare>>
<<Sentiamo>> disse lei accendendosi nervosamente un’altra
sigaretta
Michele la
guardò, poi sorrise scrollando la testa <<Mi sono accorto di amarti il giorno che siamo andati insieme al
Supermercato>>
<<Eh?>>
<<Si… insomma, ricordi il casino che c’era? E tu che non
avevi soldi per pagare. Io mi sono offerto ma tu non ne volevi proprio sapere. Stavi
lì con quel mazzo di buoni sconto e la
calcolatrice in mano, e c’abbiamo messo quasi due ore per fare neanche mezza spesa >> lui la guardò cercando conferma
<<Si,
e allora? E’ per pena allora?>>
<<No, no. Poi è arrivata quella vecchina, ricordi? Si
era persa. L’abbiamo aiutata a fare la spesa , abbiamo ricominciato tutto da capo. E più ti
riusciva quella cosa di aiutarla e più diventavi felice. Si vedeva
sai?>> Gemma distolse lo sguardo sentendosi
avvampare .
<<Eh,
ecco che c’è>> disse Michele a disagio, disegnando qualcosa con la scarpa
sul pavimento << Io… non ho mai avuto nulla. Solo pacche sulle spalle e
strette di mano in vita mia , nient’altro... >>
<<mi
sembra un po’ poco per amare una persona>> disse allora lei senza
guardarlo
<<Ma
l’amore è un’astrazione Gemma. Non esiste un motivo soltanto per amare una
persona. Si ama una persona per un insieme di cose, perché la somma di tutte
quelle cose ce la rende amabile, desiderabile. Certo… non ti amo mica solo perché
hai aiutato la vecchina, intendiamoci>> disse aiutandosi con ampi gesti
delle mani <<Quello è l’episodio che mi ha fatto accorgere di amarti.
L’ultimo pezzo del puzzle, quello che fatto
“click” >>
<<Ha
fatto che?>> chiese lei voltandosi sorridente. Quando faceva così le
veniva voglia di prenderlo a morsi da quanto le piaceva.
<<Click>> rispose lui calcando la k finale, cercando
di trattenersi dal ridere. Chissà come gli era venuta quella.
<<Ho letto
da qualche parte che non si ama davvero l’altro>> disse lei facendosi
pensierosa <<ma si finisce sotto una specie di lente d’ingrandimento, o Dio
sa cosa… ora non ricordo. Insomma, si cerca nell’altro la nostra immagine
migliore, una proiezione o qualcosa del genere>>
<<Non
so che vuol dire>> rispose Michele <<So solo che ti amo e che
voglio stare con te. Solo quello>>
Nella cucina
nessuno parlava, fuori il vento faceva muovere il telo di plastica che serviva
per coprire i panni stesi. Il
frigorifero raggiunta una temperatura troppo alta si mise in moto.
<<Vado
a vedere se dorme>> disse lei indicando la porta, e corse via con le
guance in fiamme . Lui rispose
sorridendo.
Tornò poco
dopo. Si era lavata il viso <<Dorme>>
disse sottovoce.
<<Dai,
non è andata male no?>>
<<No,
no. Di solito ci vuole più di un ora. >> lo guardò con dolcezza, poi si
sentì mancare vedendo la lunga colonna di formiche sul muro subito dietro
le sue spalle. L’aveva vista? Certo che
si. Non dovrebbero già essere in letargo?
<<Allora,
che hai deciso? Ci vieni domani?>>domandò Michele
<<Sull’ambulanza?
Ma tu sei…>> Troncò la frase. Poi riprese << No guarda, con tutto
che mi piace aiutare gli altri, andare
in giro a raccogliere per strada pezzi di altre persone non fa proprio per
me>> disse facendo il verso di
rabbrividire
<<Non
sull’ambulanza! Ah, Ma allora la matta sei tu >> esclamò Michele ridendo <<E comunque, guarda che non è così.
Anzi molto spesso non succede proprio niente. A volte, semplicemente, andiamo in
case di persone anziane. Devono cambiare il catetere, oppure hanno bisogno di
un po’ d’ossigeno. C’è chi ci chiama perché ha solo bisogno di parlare, sai? Ce
n’è una poi>> disse Michele iniziando a sorridere <<Muoio! Muoio! Urla al telefono come
una pazza. “ La Mantide” si chiama noi… non so neanche perché a dire il vero>>
rimase un po’ bloccato cercando di dare un senso a quella parola <<Sembra
pazza ma non è>> riprese << Vive tutta sola in un appartamentino
che sembra la casa delle bambole, ce l’hai presente? . Ci trovi di tutto lì
dentro. Io, mentre gli altri cercavano
di parlarle un giorno ho fatto un giretto per casa>> disse strizzando
l’occhio. La mano prese a frugare nella tasca dei pantaloni <<e ho preso
questo>> Tirò fuori un aggeggio molto vecchio, di quelli che si usavano
per metterci una sola fotografia.
<<Ma è
d’oro?>> chiese lei spalancando gli occhi
<<Si,
credo>>
<<E tu
glielo hai rubato?>>
<<Rubato….
Guarda che spettacolo>> Disse aprendolo.
La bambina era stata posizionata leggermente di traverso sopra una
specie di palco. Alle sue spalle, uno
sfondo di teli e cassettoni facevano da cornice
a quello che sicuramente era il set di un fotografo professionista. Le
avevano messo un vestitino chiaro che arrivava poco sotto le ginocchia. Impossibile
indovinarne il colore, poiché la foto era in bianco e nero, ma Michele aveva
maturata la convinzione che fosse bianco. Gli piaceva l’idea del bianco.
<<Ma
chi è?>> chiese Gemma
<<eh,
e che ne so. Ma è bella, no?>>
<<Si,
si bella. Forse la figlia? >>
<<No>>
rispose secco lui <<La figlia dev’essere più recente. Questa è una foto
davvero vecchia. Magari è proprio lei “La Mantide”>> inclinò la testa per
osservare meglio il bel volto della
bambina, i bei capelli chiari che le scendevano fin dietro le spalle. Il
fotografo aveva scelto un espressione piuttosto maliziosa per quei tempi. La
bambina fissava l’obbiettivo con un’aria equivoca, imbarazzata ma divertita al
tempo stesso. C’era molto altro in quegli occhi, si vedeva subito.
<Ok, allora>> disse Gemma scuotendolo
appena dalla contemplazione del bel
volto innocente
<<ok?...
>>
<<Ok,
resti a dormire con me>>
<<Mi
sembra un’ottima idea Gemma, davvero ottima>> disse distrattamente lui
ancora perso nello sguardo ambizioso della piccola.
<<Vado
a dirglielo>>
<<Si,
si, vai. Diglielo. Bisogna sempre dire tutto ai bambini; tutto>>
Non l’aveva
neanche guardata, continuava a osservare la bambina, gli occhi persi dentro la
fotografia. Gemma si era aspettata una reazione un po’ più eccitata invece
Michele era come caduto in tranche di
fronte a quella foto sbiadita. Sgusciò fuori dalla porta della cucina piuttosto
eccitata nonostante tutto. Erano quasi due anni che non dormiva con un uomo
accanto, magari voleva fare l’amore? No, non era da lui, troppo per benino il
suo Michele.
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CAMERETTA
<<Dormi?>> chiese sottovoce
appena affacciatasi sull’uscio della cameretta. La bambina per tutta risposta
si mise a sedere tutta allegra sul letto.
<<Ah,
ma allora non mi ascolti mai te. Eh?>> disse sedendosi sul bordo del letto
<<Senti
Doretta>> iniziò cercando le parole << … oddio la mia signorina!
Vieni qua che ho bisogno di un bell’abbraccio>> disse poi con voce rotta dall’emozione.
La tenne tra
le braccia un po’. La bambina, confusa, non rispose all’abbraccio. <<Senti, a me
Michele piace molto. Mi sembra proprio una brava persona, me lo merito no? Insomma…
tu che dici?>> Doretta rimase un po’ a fissarla senza capire <<ti
piace Michele?>>
<<Si,
mi piace>>
<<allora
non hai nulla in contrario se io e lui usciamo un po’ insieme?>>
<<Si,
mi piace>>
<<Ecco
appunto… >>
<<Hai
messo i soldi nello zaino mamma?>>
<<…
>>
<<I Ventidue
Euro. Per la gita. >>
<<ah!
La gita, capperi però. Ventidue? Ora te
li metto, dormi vai >>
<<ricordatelo
però, sennò non riesco ad addormentarmi>>
<<ti
ho detto che ora te li metto, dormi su>>
<<Non
fare come l’altr>>
<<Ti ho detto che te li metto!>>
urlò Gemma scattando in piedi. Doretta si fece piccola nel letto portando le
ginocchia sotto il mento<< Se la
mamma dice una cosa sai che la fa, no!?>>
La bambina fissava la mamma con gli occhi spalancati. <<ascolta>>
disse poi Gemma rimettendosi seduta prendendo a sistemare i capelli alla
bambina <<domani , quando torni
dalla gita io e te andiamo a farci una passeggiatina in centro. Ti va?>>
<<si..>>
<<Magari,
chissà che non ti compri qualcosina, eh?>>
<<SI!>>
<<Ecco,
brava la mia bambina>> disse accarezzandole la testa <<Io e te.
Sempre unite. Dammi un grandissimissimo bacio cavolo, che ora ne ho proprio bisogno>> Doretta allora
si mise in ginocchio e le diede uno dei suoi “ umidissimissimi salivosi” sulla
guancia. <<dormi adesso, non farmi arrabbiare>>
<<’notte
mamma>>
<<’notte
amore mio>>
Trovò
Michele ancora fermo nella posizione di
prima. Sembrava non si fosse mosso di un millimetro, eppure era stata via quasi
cinque minuti.
<<Senti…
non prenderla nel modo sbagliato Michele. Non vorrei che ti facessi>>
<<Hai
già cambiato idea?>>
<<No,
no. Non è quello>> Non era per niente facile da dire
<<Beh,
allora che c’è scusa? >>
<<Non
è che avresti da prestarmi venti euro? Non prenderla nel modo sbagliato Michele
ti prego . E’ che >>
<<Ma
certo. Che problema c’è scusa?>> disse lui <<Ne vuoi cinquanta?
Prendine cinquanta! Non ti preoccupare.… so cosa stavi per dirmi, non mi è neanche passato per la mente>>
<<Non
vorrei che ti facessi idee sbagliate ecco. E’ che la bambina va in gita, e io
non ho soldi in casa. Domani appena troviamo un bancomat te li
restituisco>>
<<Ma
io non li voglio! Dove va? Beata lei>>
<<Non
so dove vanno . Cazzo, me ne ero proprio dimenticata. Colpa tua, mi fai perdere
la testa>> Gemma si avvicinò al tavolo poi ci saltò sopra mettendosi
seduta proprio di fronte a lui.
<<Che
dici? Andiamo a letto?>> con il piede prese a frugare le parti intime di
Michele sorridendo maliziosa
<<Gemma…
>> disse allora lui con un vago accenno di rimprovero nella voce
<<Michele…
>>
<<Non
c’è ritorno ... Sei sicura, vero?>>
<<Sicurissima>>
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GIORNO SEGUENTE. PULLMAN
<<Allora com’è andata. Ti sei
divertita?>> disse Gemma abbracciando Doretta appena scesa dal pullman
<<No!>>
<<Come
no? Perché che è successo?>> la bambina non rispondeva. Gemma tentò
allora l’altro approccio.
<<è
per via di Laura?>>
Doretta
tutta imbronciata scosse con violenza la testa
<<Rita?>>
Ancora un no
con la testolina. Altri ventiquattro nomi.
<<La
solita Emma?>> un altro no. Ventitré.
<<Anna?
E’ per colpa di Anna?>> finalmente la piccola annuì
<<Che
ti ha fatto piccolina?>>
Il pianto
arrivò insieme alla confessione <<Dice che non so giocare a
nascondino>>
<<Ma
no, vedrai che non voleva dire proprio così>>
<<E
invece si!>> urlò la piccola battendo i piedi in terra <<Lo dice sempre! Ogni volta che
giochiamo lei dice che io non so giocare! >>
<<E’
terribile piccolina>> disse Gemma stringendola forte << appena trovo in giro la sua mamma glielo dico io va
bene?>> Doretta annuì continuando a singhiozzare tra le braccia della
madre.
<<Senti,
allora ti va se io e te andiamo a fare compere? Lo vuoi un mega gelato?>>
<<SI!>>
<<ok
allora. Siamo fortunate perché Michele è un uomo davvero generoso sai? Ci
troveremo bene con lui, vedrai>>
<<
Michele non è come lo Zio Nereo vero?>> chiese Doretta che intanto aveva
già smesso di piangere <<Non si arrabbia lui, vero mamma?>>
<<No
amore mio. Lo Zio Nereo era una persona cattiva>> rispose Gemma, stringendo forte la mano della bambina
ripensando alle botte ai cazzotti e soprattutto a quella volta…
<<A me
non piaceva per niente. Mi faceva paura mamma>>
<<Vedrai
che non torna più ora>>
<<dov’è?>>
<<Non
torna Doretta, non torna. Stai tranquilla>> disse passandole un braccio
intorno al collo e stringendosela contro un fianco. La luna già alta nel cielo ma dai contorni ancora incerti stava lassù in attesa, con ancora un vago tremore di trasparenza. Sembrava
non riuscire ad averla vinta quella sera su un sole che due ore più tardi
indugiava ancora sui loro capelli.
<<Questo
è l’ultimo!>> urlò alla bambina quando le passò davanti urlando
sorridente avvinghiata al corrimano del Bruco “ottovolante” . Dopo aver svoltato l’ennesimo angolo
della giornata era spuntato in lontananza il Luna Park, Doretta le era sfuggita di mano e non c’era stato modo di
riacchiapparla. Non che avrebbe voluto farlo dopo tutto. Dopo il gelato, il
vestitino, le caramelle supergelatinose e i Pop corn neanche toccati e buttati
direttamente nel cestino, le rimanevano ancora trenta Euro e spiccioli dei
Cento che Michele le aveva lasciato.
Lui le aveva dato un bacio sulla tempia quella mattina
alzandosi per andare al lavoro. Gemma non aveva avuto il coraggio di
ricordargli di lasciare i soldi, aveva aspettato fingendosi addormentata che se
ne andasse. Appena Michele aveva chiusa la porta di casa per uscire era schizzata fuori dal letto per andare a
controllare che glieli avesse lasciati, ma non aveva trovato niente. Niente di
niente.
“se n’è dimenticato”
Che fare?
Ancora un’ora poi avrebbe dovuto accompagnare Doretta al Pullman. Aveva iniziato a sfogliare la rubrica del
cellulare alla ricerca di un cognome al quale non avesse già chiesto soldi.
Leggendoli, ognuno di quei nomi si accorse che erano legati tutti a episodi
specifici che ricordava benissimo. L’affanno, la fretta assurda, sempre di
corsa, qualsiasi cosa facesse all’epoca doveva correre, non c’era verso di fare le
cose con calma come tutti gli altri.
Sempre in agitazione. E poi la sensazione di essere sempre sotto
osservazione, come se qualcuno la spiasse di continuo. E tutti quei numeri avevano
comunque il potere di farle salire in bocca un sapore terribile.
La
mamma di Anna era l’unica alla quale non aveva mai osato chiedere nulla. L’odio
che divideva le due bambine si era in qualche modo propagato alle madri, per
osmosi. Aveva premuto il pulsante per la
composizione automatica del numero ma invece di trovarsi a parlare con Marisa,
aveva trovato la voce di Michele
<<Pronto?
Ma mi senti?>> stava dicendo lui nel microfono . Sulle prime non aveva
capito.
<<Michele?>>
aveva chiesto confusa
<<Ah,
ci sei allora. Com’è andata?>> aveva risposto a una sua chiamata senza
neanche saperlo
<<In
che senso?>>
<<I
soldi li hai trovati?>> fece lui
<<hmm…
no. Ma non importa sai?>> si era affrettata a dire <<non ti
preoccupare>>
<<Sul
comodino. Non li hai visti?>> il comodino? E chi cazzo c’aveva pensato a
cercarli sul comodino?
<<Non
volevo lasciarli sul tavolo in cucina. Non volevo che li vedesse Doretta,
magari… >> disse lui senza
terminare la frase
<<Ah!
Grazie. Non li avevo mica cercati ancora sai?>> disse Gemma sentendo
l’angoscia scivolare giù sul pavimento <<Ero qui che stavo
pensando>> si bloccò a metà frase. Era corsa in camera per controllare e
sul comodino aveva trovato cinque banconote da venti <<Michele! Ma sei
scemo? Cento ?>>
<<Dai…
divertiti. Te lo meriti! >> aveva risposto lui ostentando la tranquillità
tipica di quelli ai quali i soldi non
fanno difetto <<Anche lei se lo merita. No?>>
<<Oh,
Dio Grazie. Sei un amore. Ma sono troppi davvero… stasera te ne rendo la
metà>>
<<e io
te li rinfilo di nascosto in tasca>>
<<ah
ah Spiritoso>>
<<mamma sono le nove>>
<<Senti
devo andare. La capa mi chiama>>
<<Ciao.
E divertitevi stasera. Dai un bacio per me a Doretta>>
<<Michele?>>
<<si?>>
<<A
che ora torni stasera?>>
<<A che
ora torno stasera>> le aveva fatto eco lui con voce divertita <<hmmm…
vediamo… dovrei finire per le 21>>
<<Ti
aspetto>> aveva risposto lei senza
chiudere la telefonata. Un lungo silenzio carico di significato aveva fatto seguito a quelle parole, prima che lui dicesse
<<A stasera>>
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LUNA PARK
<<OHO!NON
CI POSSO CREDERE!>>
Gemma non
ebbe bisogno di voltarsi. Avrebbe riconosciuto la voce anche in mezzo a una
folla di persone urlanti. Si sentì gelare il sangue ma allo
stesso tempo capì subito che la calma non l’avrebbe abbandonata.
<<Sono
con la mia bambina>> disse senza voltarsi
<<Ah>>
fece la voce << Cazzo, oh. Quanto ha adesso?>>Si fingeva interessato.
Atteggiamento tipico.
Gemma non
rispose. Non aveva bisogno di guardarlo. Se lo immaginava benissimo. Capello
lucido, sguardo vacuo, faccia tirata e zigomi sporgenti. Pizzetto curato, gesti
bruschi e scoordinati. Vestito di bianco come sempre.
<<Veronica
vero?>> le sussurrò lui nell’orecchio
Gemma
sospirò a fondo <<Doretta. Si chiama Doretta>>
<<AH! E’ vero cazzo! Me lo ricordo
oh!>> disse lui alzando la voce
<<Ascolta
Gianni>> disse Gemma respirando profondamente <<Lasciaci sole, va
bene?>>
<<Hey…
Hey… Non voglio mica disturbarla Signora >> calcò di proposito sull’ultima parola <<Che
non posso neanche salutare una vecchia cara amica? Mamma mia che gente, oh!… >>
<<No>>
rispose lei ripensando alla cantina buia, al materasso puzzolente buttato in
terra , alla bombola del gas attaccata in qualche maniera alla stufetta, e a
tutte le volte che aveva pregato di saltare in aria con tutto il palazzo. Ai
tre Euro T R E , che lui le aveva tirato
nel viso l’ultima volta che l’aveva scopata laggiù. E a come li aveva raccatati
di terra quei tre euro, piangendo, graffiandosi le unghie
sul pavimento.
<<Levati
dai coglioni>>
<<OH!>> esclamò << Ma
vaffanculo eh?>> disse abbassando la voce. Aveva messo la bocca vicinissima al suo
orecchio e bisbigliandoci dentro, senza volerlo, era riuscito a creare un bell’effetto
<< Chi ti ha portata all’ospedale l’ultima volta?>> sembrava un
serpente <<Chi? Te lo ricordi, eh?>>
<<UHU!>> urlò Doretta tutta felice
passandole davanti per iniziare l’ultimo giro. Gemma rispose con un bel sorriso
che impegnò tutta la bocca.
<<Quella
li>> sibilò ancora la voce <<Quella li… lo devi a me se c’è.
Ricordalo>>
E che doveva fare, ringraziarlo forse? Scelse di rimanere
in silenzio. Tutto doveva comunque finire. Un minuto , forse due, magari anche dieci . Ma sarebbe finita.
E poi ci sarebbero state soltanto lei e Doretta, con il loro Michele.
<<Eri
e rimani una troia>> sembrava averle infilato tutta la bocca
nell’orecchio << Quelle come te non cambiano>> furono le sue ultime parole. Sempre senza
guardarlo lo vide andarsene. Camminava piano, strascicando leggermente il piede
destro. I pantaloni troppo larghi ma in
compenso sempre puliti.
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CUCINA
Da quello che riusciva a sentire dalla
cucina sembrava che Spongebob avesse subito una specie di mutazione. Non solo
non riconosceva più i vecchi amici, ma adesso aveva addirittura la necessità di
far loro del male. E faceva quella risata raccapricciante quando gli riusciva.
Non osava dire a Doretta di abbassare il
volume. Sentire i cartoni che piacevano alla figlia era piano piano passato
dall’essere parte di un sottofondo monotono e costante paragonabile al nulla, a una vera e propria necessità. Era successo in modo naturale,
senza che se ne rendesse conto. La televisione, le musichette, addirittura le
pubblicità, tutto era diventato parte di un altro tutto. Il tutto di tutto,
come le piaceva chiamarlo, quello che si ricostruiva ogni giorno intorno alla
figlia e che necessariamente doveva passare attraverso quelle musichette, e quelle
pubblicità. Solo così, e in nessun altro modo, immersa in
quella carezza noncurante di urli, risate, e musica, dopo poco Gemma si sentiva attraversare da
quella sensazione di completezza assoluta. Non era uno scherzo. Nell’altra
stanza c’era sua figlia. Frutto del suo amore di madre, e di nessun altro.
Ed era vera, reale. Bastava affacciarsi
sulla porta del salotto per trovarla li, distesa sul pavimento a guardare la Tv
con le mani che facevano da piedistallo per la testa.
Sospirò a fondo, poi tornò a girare il
sugo. Controllò ancora una volta il muro
vicino al tavolo. Dal minuscolo foro tra le piastrelle non giungevano segni di
vita .Passò una mano sulla tovaglia, la piega invisibile sparì. Tre piatti, tre scodelle, tre bicchieri. Si
sentì scuotere fin nelle fondamenta “una
famiglia”
Le venne in mente Claudia, sua sorella.
Adesso viveva vicino Como. Erano cresciute insieme, nella stessa cameretta,
fino ai vent'anni quasi; avevano condiviso ogni cosa. Poi quella sera lei
aveva svoltato a destra, la sorella invece era andata a sinistra, verso
casa. E da allora tutto era
precipitato. Non le parlava da dodici
anni e tre mesi. Dall’ultima richiesta di denaro.
<<Vorrei
che tu morissi… ecco>> le aveva detto al telefono
<<Ti
prego>> urlava Gemma <<
Dammene soltanto duecento allora>>
<<Come
vanno a scuola eh?>> era arrivata addirittura a chiedere. Quanto si
vergognava adesso di quella domanda buttata li, per disperazione. Non ricordava
neanche i nomi dei nipoti <<Salutami anche Piero! Dai Claudia… >>
aveva proseguito implorando <<
Mandamene Cento e non ti rompo più. Ti prego, sono disperata, il Natale. Dio
mio non ho soldi… >>
<<Hai
fatto morire la mamma. Crepa! Fai un piacere a tutti>> le aveva risposto innece l'altra e aveva
riattaccato.
Quanto avrebbe voluto che la sorella
vedesse quella tavola adesso.
Le
20.23 c’era ancora tempo prima che arrivasse. E invece no. Suonarono alla porta “Michele, accidenti a te” pensò correndo ad
aprire.
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SALOTTO
La televisione ora taceva, dal salotto le
arrivavano in un sussurro le voci di
Doretta e Michele. <<Si, però no>> stava dicendo lui <<Ecco,
lo devi mettere qui, vedi?>> silenzio <<così almeno sappiamo che
loro sono amici>> le stava spiegando con voce paziente. Gemma non poté
resistere a lungo e sperando di non essere scoperta subito scivolò dietro lo
stipite della porta mettendosi a spiare.
Erano sdraiati a terra, uno accanto
all’altra. “Si sporcherà la camicia”
pensò subito vedendo quella bella
camicia bianca, importante. Doretta
prese tra le dita il benzinaio della città di plastica a cui stavano dando vita
sul pavimento <<Anche lui ?>> chiese indicando il centro della
piazzetta all’interno della quale c’era
già diversa gente <<Non, so>> rispose Michele <<Non so
davvero… A me questa faccia non piace
per niente>> disse rivolto alla bambina <<Li vedi che occhietti
furbi?>> Doretta si trovò faccia a faccia col minuscolo benzinaio. Poi
disse di si sollevando e abbassando la testa <<Secondo me… >>
Michele lo fece girare in tondo sopra la città, poi lo depositò nell’angolo in
alto a destra. Quasi fuori dal tappeto <<Lui sta bene laggiù. Mi sembra
uno buono solo a fare guai>> disse sorridendo alla bambina. Poi
accorgendosi della madre sulla soglia le fece un cenno col capo come a dire che
non aveva proprio idea di quello che stava facendo.
Lei gli sorrise col cuore che batteva forte,
le mani leggermente sudate e gli occhi velati di lacrime. Poi, proprio come
faceva sempre sua madre , dopo aver osservato per l’ennesima volta la tavola piena
di ogni ben di Dio apparecchiata alla perfezione per il pranzo Domenicale, esclamò : <<FORZA!
Tutti a tavola>>
Lettera, Epilogo.
“Cara
Claudia, questa è tua nipote Doretta.
Oggi ha festeggiato il suo sedicesimo compleanno. Nelle foto lei è
quella un po’ più alta delle altre, quella che sta reggendo la scatola blu.
Non sto
certo a raccontare la confusione che
avevo per casa a una che c’è passata
prima di me. Comunque ringraziando il
cielo è andata, è passata, e finalmente adesso posso prepararmi per andare a
dormire, sono stanchissima. Ti starai
probabilmente chiedendo il perché di questa lettera dopo quasi diciotto anni, e,
se non l’hai già gettata nel cestino voglio rassicurarti subito dicendoti che
non sono in cerca di soldi o favori.
E’ soltanto
che per caso oggi mentre apparecchiavo mi sei venuta in mente te. Cioè, a dire
il vero mi è venuta in mente la mamma, quel giorno che io e lei restammo
sole, a preparare la tavola per il tuo compleanno. Compivi
quattordici anni e io ti prendevo sempre in giro perché non avevi ancora baciato
nessuno.
Insomma, te
la racconto ma puoi immaginartela benissimo da sola per tutte le volte che
l’hai vista anche te in quelle condizioni. Sembrava avesse un diavolo per
capello, ma si vedeva fin da chissà dove
che era felicissima mentre lisciava la tovaglia e controllava per la centesima
volta che tutto fosse in ordine. Perfino mentre mi lanciava una di quelle sue occhiate gelide,
tremende, solo perché avevo portato in tavola la cosa sbagliata si vedeva che
c’era tanto altro subito dietro a quegli occhi severi.
Come quella volta ricordi? Quando venne di
nascosto in camera a portarci la cena dopo che il babbo ci mandò a letto senza
mangiare perché avevo preso quel brutto voto in geografia e tu ti eri messa in testa di difendermi .
Ricordi com’era? Lo sguardo terribile, non disse una parola, ma alla fine i gesti la tradivano sempre, e proprio prima di andarsene fece il verso di
girarsi per darci un bacio, ma poi ricordò che doveva essere dura e non lo
fece. Se non se ne ricordava in tempo giuro che glielo avrei detto io.
Rimanemmo a lungo a osservare la tavola sai quel giorno? Quanto eravamo soddisfatte . Quando finimmo, me lo ricordo come fosse adesso, venne vicina e mi
mise un braccio intorno al collo.
Restammo così, a contemplare la nostra opera per non so quanto tempo, ricordo
soltanto che alla fine lei strinse affettuosamente il braccio e poi chinandosi
mise la guancia proprio attaccata alla mia e disse <<Grazie tesoro .
Senza di te non ce l’avrei proprio fatta>> poi mi baciò.
Sapevo che
non era vero, l’avevo solo intralciata, ma presi quel ringraziamento e me lo tenni
stretto stretto per tutto il giorno, perché non era proprio da lei dirle le cose.
Adesso ti
saluto, scusami nuovamente per il disturbo. Ah! Ti allego una foto di mio
marito. Si chiamava Michele. Era proprio un uomo in gamba sai? Ti assomigliava
per certi versi… così precisino. Ti sarebbe piaciuto, e anche alla mamma
sarebbe piaciuto. E’ morto l’anno scorso, incidente. La mattina prima di
andarsene a lavorare mi sussurrò una cosa all’orecchio, e poi mi diede un bacio
sulla guancia, proprio come fece lei quel giorno. Non ho fatto in tempo a chiedergli cosa
avesse detto che era già fuori dalla porta, non me lo sono mai perdonata. Ci sono sempre due cose adesso che mi tengono
compagnia nei momenti bui.
Se ti va
scrivimi, ti voglio bene.
Pulcetta.
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