venerdì 7 agosto 2015

Manuale di crescita






Pensavo che a un certo punto mi avrebbero messo al corrente del segreto. Sì, proprio così: pensavo che un bel giorno sarebbero venuti da me e mi avrebbero detto: benvenuto nel club, ora sei dei nostri e non devi più aver paura di nulla. Ecco vedi Enrico, si fa così e così.

Credevo che gli adulti fossero a conoscenza di qualcosa, un codice segreto del fare che per il momento ignoravo, ma che di sicuro, a tempo debito, mi avrebbero svelato.
Questo mi succedeva almeno fino ai vent’anni. Sì lo so, è cosa strana, e forse sono pochi quelli attraversati da tanta insicurezza da arrivare a immaginarsi codici segreti o città proibite per spiegarsi la costante sensazione d’inadeguatezza, ma a me andava così.
Gli anni passavano comunque e nessuno mi diceva nulla, e io piano piano avevo preso (da solo) ad assomigliare sempre più a loro: gli adulti “i grandi”.

Facevo cose, prendevo decisioni, mi assumevo delle responsabilità, senza tuttavia mai staccarmi del tutto dall’idea affettuosa che ogni cosa, ogni decisione, venisse accuratamente soppesata da qualche parte dietro le quinte (come nel film The Truman show) .

Ora sono i miei ragazzi che mi guardano di nascosto cercando di capire come si fa.
Diciassette anni sono una gran bell’età, ma sono anche un casino: s’iniziano a sentire chiudersi le prime porte alle spalle, si capisce che la pacchia sta per finire.
Forse si aspettano da me la “rivelazione”, la valigetta con i codici, un bel paio di chiavi per accedere alla città proibita.

Invece servono anni per diventare uomini, decenni, un’era geologica. Serve una planimetria dettagliatissima piena zeppa di errori, calci in culo, botte in testa e delusioni per mettere in moto questa macchina infernale chiamata “uomo” e farla marciare in una direzione qualsiasi.
Vedo i ragazzini che entrano da me la notte, a prendere la schiacciata. Sono giovanissimi, 15 – 18 anni al massimo. Mi guardano timorosi, io sono parte del grande mistero, sono un depositario del segreto. Mi basterebbe un urletto per ridurli in briciole e farli fuggire via a gambe levate.

Quello che invece non sanno è che adoro la loro insicurezza e benedico le loro manine tremanti mentre mi porgono gli spiccioli; perché ci sono ancora io dietro quegli occhi timorosi e incerti, è mia la voce che s’inceppa davanti a quel “grande uomo” ricoperto di farina che sa tutto della vita, ed è ancora tutto mio il dolore della loro giovinezza; così bella ma già così oscura.




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