Pensavo
che a un certo punto mi avrebbero messo al corrente del segreto. Sì,
proprio così: pensavo che un bel giorno sarebbero venuti da me e mi
avrebbero detto: benvenuto nel club, ora sei dei nostri e non devi
più aver paura di nulla. Ecco vedi Enrico, si fa così e così.
Credevo
che gli adulti fossero a conoscenza di qualcosa, un codice segreto
del fare che per il momento ignoravo, ma che di sicuro, a tempo
debito, mi avrebbero svelato.
Questo
mi succedeva almeno fino ai vent’anni. Sì lo so, è cosa strana, e
forse sono pochi quelli attraversati da tanta insicurezza da arrivare
a immaginarsi codici segreti o città proibite per spiegarsi la
costante sensazione d’inadeguatezza, ma a me andava così.
Gli
anni passavano comunque e nessuno mi diceva nulla, e io piano piano
avevo preso (da solo) ad assomigliare sempre più a loro: gli adulti
“i grandi”.
Facevo
cose, prendevo decisioni, mi assumevo delle responsabilità, senza
tuttavia mai staccarmi del tutto dall’idea affettuosa che ogni
cosa, ogni decisione, venisse accuratamente soppesata da qualche
parte dietro le quinte (come nel film The Truman show) .
Ora
sono i miei ragazzi che mi guardano di nascosto cercando di capire
come si fa.
Diciassette
anni sono una gran bell’età, ma sono anche un casino: s’iniziano
a sentire chiudersi le prime porte alle spalle, si capisce che la
pacchia sta per finire.
Forse
si aspettano da me la “rivelazione”, la valigetta con i codici,
un bel paio di chiavi per accedere alla città proibita.
Invece
servono anni per diventare uomini, decenni, un’era geologica. Serve
una planimetria dettagliatissima piena zeppa di errori, calci in
culo, botte in testa e delusioni per mettere in moto questa macchina
infernale chiamata “uomo” e farla marciare in una direzione
qualsiasi.
Vedo
i ragazzini che entrano da me la notte, a prendere la schiacciata.
Sono giovanissimi, 15 – 18 anni al massimo. Mi guardano timorosi,
io sono parte del grande mistero, sono un depositario del segreto. Mi
basterebbe un urletto per ridurli in briciole e farli fuggire via a
gambe levate.
Quello
che invece non sanno è che adoro la loro insicurezza e benedico le
loro manine tremanti mentre mi porgono gli spiccioli; perché ci sono
ancora io dietro quegli occhi timorosi e incerti, è mia la voce che
s’inceppa davanti a quel “grande uomo” ricoperto di farina che
sa tutto della vita, ed è ancora tutto mio il dolore della loro
giovinezza; così bella ma già così oscura.
Nessun commento:
Posta un commento