Il nerd scrive con la testa quasi poggiata sul tavolo. Ogni tanto la solleva, fa un conto con la calcolatrice, poi la riabbassa e riprende a scrivere con grande impegno.
La ragazzina bionda e bellina siede al tavolo accanto. Capelli tenuti su con un elastico che li strizza fino a formare proprio sulla punta del capo una simpatica fontanella. Un ampio maglione pesante bianco con disegni pixellosi neri di sapore anni ottanta: Wham, Videomusic, Spandau. Un paio di fuseaux neri e scarpe da ginnastica bianche Nike, con logo anch’esso bianco annunciato appena dalla finitura solo un po’ più scura della cucitura. Doveroso abbigliamento informale da biblioteca con il quale la ragazza cerca d’immobilizzare o perlomeno ingabbiare la civetteria, alla quale però intanto ha concesso asilo nella penna e nell’evidenziatore che sono di un giallo sgargiante.
L’altra, quella brutta, le siede di fronte dall’altra parte del tavolo. Viso piatto, sopracciglia un po’ troppo alte, labbra sottili di chi soffre in continuazione. Sembra la fotografia di un’altra appiccicata in fretta e furia sulla testa sbagliata, oppure, per chi ama gli animali, l’evoluzione di un Pechinese. Brusca nel fare e nel sedere. Non si da neanche la pena di accavallare una gamba; tiene le ginocchia unite e i piedi ben piantati per terra. Un golfino di lana beige aperto sopra un lupetto appena un po’ più scuro. Jeans blu, scarpe nere.
A un certo punto sollevando gli occhi dal libro, si rivolge alla biondina e le sussurra qualcosa. Quella, come se non aspettasse altro da sfogo a tutta la vitalità domata fino a quel momento e non potendo urlare esplode in un’esclamazione muta carica di stupore «Ma dai? » Sembrano gridare gli occhi . «Ma davvero? » la ragazza brutta prosegue nella narrazione senza mostrare neanche un briciolo della gioia ed emozione che invece scuotono l’altra «No! Non ci credo! » strillano gli occhi della biondina mentre continua ad ascoltare e a fare facce; ora incredule ora estasiate, ora sorprese ora meravigliate. «Dimmi! Dimmi ancora» brama agitatissima con un allegro rossore nel viso.
Non riesco a capire se quello non è altro che un sofisticato sistema di contrappesi che la ragazza bellina mette in pratica per cercare di limare lo squilibrio delle forze in campo; indecisa tra la cortesia che deve all’amica che così brutta deve per forza aver bisogno di costante sostegno morale, o un banalissimo reale interesse per le cose che dice. Intanto però pensa bene di retribuirla, incensandola di un’attenzione esagerata, così da poterla sollevare dalla pozza d’acqua stagnante nella quale di sicuro pensa che passi le giornate fino a portarsela proprio davanti agli occhi, nei quali sa, potrà di nuovo specchiarsi e vedersi ancora bella come non mai.
Il nerd solleva la testa. Ha una ferita nel cuore che non si richiude. Cerca di rimpinzarlo di numeri ed equazioni ma gli cade tutto in terra e la mente poi torna subito là. Sotto quella finestra. Dove prima, senza coraggio per fare altro, di tanto in tanto si appostava di nascosto anche solo per vedere il suo amore passarci davanti e poi andarsene felice, con un’istantanea rubata di lei sorridente, pensierosa, arrabbiata, oppure sognante. Ah, cosa non avrebbe dato per potersi infilare dentro di uno di quei sogni, magari anche solo come comparsa, o da spettatore a un suo momento felice soltanto per vederla ridere e buttare indietro la testa come la vedeva fare ogni volta che qualcosa la divertiva. Ma sarebbe stato impossibile, lei conosceva appena la sua faccia, e sebbene lui s’ingegnasse durante gli appostamenti per sfruttare le innumerevoli possibilità offerte dall’energia cosmica e farle arrivare plichi ricolmi di bei pensieri e amore, lei non aveva mai dato cenno di percepire la sua presenza sotto la finestra, e cosa peggiore, neanche lo salutava incrociandolo per strada, lasciandolo tramortito con il doloroso compito di svolgere l’ennesima eutanasia di un sorriso. Non sapeva nulla del suo amore cresciuto tra le ombre della sera, tra le nebbie impenetrabili dell’autunno, tra le gelide nevicate dell’inverno e poi morto in primavera di fronte a una serranda chiusa e due vasi di gerani appassiti, quando il padre di lei era stato costretto ad accettare quel trasferimento in Emilia e se n’erano andati senza neanche avvertirlo. Ma avvertire chi? Che diritti poteva accampare un perfetto sconosciuto? Riabbassa la testa e riprende a scrivere cercando rifugio nella rassicurante perfezione dei numeri.
Ci sono tre ragazzi sono seduti al tavolo accanto al mio, tutti giovanissimi avranno sì e no diciotto anni e in una pausa di studio hanno piazzato un Iphone al centro del tavolo. A turno sembra stiano facendo un gioco di dadi o qualcosa che comunque da qui posso soltanto intuire. Dei tre quello con la barbetta sembra essere il più sveglio. E' sicuramente il più interessante, ha un qualche segreto custodito gelosamente in fondo all'animo; forse vuole diventare dottore o magari pilota d'aerei, chissà? E ce la farà, perché “il mondo è di chi nasce per conquistarlo, e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione” .(cit.)
Dall'altra parte della stanza intanto la biondina fissa da un bel po' incuriosita con occhi di cerbiatta il ragazzo con la barbetta, che ignaro gioca beato e detta le regole del gioco ai suoi amici già assoggettati al suo carisma. Ora però il barbetta ha un problema. Si accorge della ragazza bellina bellina che lo osserva e improvvisamente non gli vengono più quei bei gesti armoniosi di prima. Anche le leggi della sua dittatura sembrano meno giuste alle orecchie degli amici che ora contestano qua e là. Non riesce a fare a meno di controllare i gesti cercando di apparire naturale e sincero come prima. E' bastato davvero poco per far crollare tutte le sue certezze. Me ne vado felice, con la consapevolezza che tutto è identico a quando anch'io ero poco più che diciottenne; forse un po' spaesato, ma col cuore sempre all'erta.
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