giovedì 11 aprile 2013

Quotidianità


La vita degli adulti somiglia per molti versi al numero di un trapezista.
Si passa di ostacolo in ostacolo rischiando continuamente
di perdere la presa. E per quanto ci si spolveri le mani nei sedimenti di
esperienze passate  per avere una presa migliore, il rischio di precipitare
è sempre piuttosto alto.

E quando accade, serve una rete bella robusta per attutire la caduta.  
Può essere la moglie, il marito, i figli, il lavoro, insomma qualcosa
che ci faccia rimbalzare e ci riporti magicamente in piedi.
Pronti a risalire sulla piattaforma  e ritentare il numero.

Che poi, va detto, più si avanza con l'età e più si fa complicato.
A volte addirittura ti trovi con altri aggrappati alle braccia mentre stai dondolando a testa in giù,
 e allora prima ci sono loro da portare in salvo, perché è così che si fa tra compagni d'avventura
 il numero prevede che prima arrivino loro in salvo ,eseguendo magari anche una bella capriola.

E quando tocca a te, quando poi tocca a loro tenerti ben saldo e impedire che tu cada, è
 inevitabile che appena staccatisi dalla piattaforma non ci si domandi se per caso non si è vista
 una strana ombra nei loro occhi, se quella bocca sempre ben distesa e pronta a darti coraggio
 con un sorriso ,per caso non avesse per una frazione di secondo assunto una posa strana,
sconosciuta. <<Cado>> ti dici mentre piroetti lassù. Poi ,prima gli avambracci, poi le mani si
 saldano alle tue, e insieme, con il cuore che batte all’impazzata, stanchi ma felici si giunge
sull’altra piattaforma.
In fondo alla giornata.

lunedì 1 aprile 2013

Un baule pieno di polvere




C'era lo zio che veniva dal paese vicino
con tutta la famiglia. Avevano quel modo tutto particolare
di auto annunciarsi mentre salivano le scale. Capivo
dalle loro urla che era davvero festa.

C'era l'altro zio, quello "Americano" di un
America sbagliata, quella centrale. Parlava
con autorità, era il più vecchio dei tre fratelli.
Quando lo faceva, nella grande stanza
dove avevamo il tavolo buono,  calava
un silenzio implacabile.

C'era il mio babbo, l'introverso dei tre.
Parlava poco,  ma non per darsi
un'aria di mistero o chissà cosa, parlava poco
perché credo si ritenesse inadatto. Sorrideva sempre
un po' come faccio io adesso, e s'inseriva nelle grandi
discussioni degli altri due con un tempismo
eccezionale. Li stendeva sempre alla fine proprio
perché parlava poco, e quando lo faceva, 
si sentiva eccome.

E poi c'era lei, la mia mamma.

Indaffaratissima tra portate di ravioli
e tortellini, con la  maionese fatta in casa
che la faceva dannare, e il roastbeef sempre troppo cotto.

Era di Parma , e faceva sempre le pesche
al burro per le feste. Non mi piacevano,
non gliele ho mai mangiate, ma mi piaceva che le facesse.

Spero che la terra sia stata dolce con ognuno di loro.
Mi restano i ricordi e questo strano circo,
che governa i cuori, e le vite degli esseri.