mercoledì 11 maggio 2016

Assenza di movimento







Oggi sono andato a porgere l’ultimo saluto a un vecchio amico del babbo. È ora, si sa. 84 sono tanti, ma per chi è ancora perfettamente lucido e consapevole del rapido declino, magari no.
Quando sono entrato nel reparto di Geriatria la prima cosa che mi ha colpito è stata una pesantissima sensazione d’assenza. Assenza di gente, di personale, di movimento, come se la morte fosse autorizzata in contumacia a svolgere preventivamente gli obblighi preliminari.

La stanza 252 contava quattro letti vuoti oltre quello occupato dalla persona che volevo salutare, e un altro nell’angolo di sinistra, dove un signore senza nessuno intorno sembrava dormire.

Ho abbracciato la moglie che mi ha subito ringraziato della visita, poi ho poggiato una mano su quella dell’anziano morente che ha aperto gli occhi. Vedendomi ha scosso la testa e ha sorriso riconoscendomi, con quel modo di fare che mi ha subito ricordato il babbo.
Non se ne leva le gambe” ha detto con un filo di voce; conosco quell’atteggiamento ironico, di sfida, col quale si cerca di esorcizzare la paura; nessun uomo è mai all’altezza dei suoi drammi.

Tutti conosciamo la situazione, anche lui: i reni hanno ceduto una settimana fa, lo stomaco rifiuta il cibo e l’acqua, eppure al mio fianco, la moglie ha iniziato a parlarmi di esami, di responsi in arrivo, di tempi d’attesa, di colloqui col primario in ponte per la prossima settimana.
Lui a due metri di distanza scuoteva la testa sorridendo mentre lei parlava, con gli occhi chiusi e le sopracciglia sollevate, testimoniando il fastidio per le sue ingenue speranze, ma anche affetto per quella donna che non s’arrendeva all’idea di restare sola.

A un certo punto lui l’ha fermata, ha iniziato a dirmi di salutare questo e quello, cose da uomini insomma, la pietra tombale sulle illusioni di lei, il suo modo di dirle “fattene una ragione, va così”. Poi ha poggiato la mano sopra la mia e con un gesto affettuoso e malinconico al tempo stesso ha cercato di stringerla con le poche forze rimaste.

Ho capito che mi stava congedando, così mi sono sporto un po’ sopra il letto e l’ho baciato sulla fronte, chiaramente un addio. È entrata un’infermiera col carrello per il mangiare. La moglie si è subito messa ad apparecchiare il minuscolo tavolinetto a lato del letto, e io ho pensato: “un uomo e una donna che sommano insieme le abitudini” ecco la vecchiaia. Poi si è avventata sul piatto di pasta in bianco al quale indubbiamente attribuiva capacità curative che andavano ben oltre quella della medicina.

Quando sono uscito dalla stanza lo stava implorando di mangiare altre due penne, e io ho pensato: “ecco l’amore, più semplice di così”.


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