Oggi
sono andato a porgere l’ultimo saluto a un vecchio amico del babbo.
È ora, si sa. 84 sono tanti, ma per chi è ancora perfettamente
lucido e consapevole del rapido declino, magari no.
Quando
sono entrato nel reparto di Geriatria la prima cosa che mi ha colpito
è stata una pesantissima sensazione d’assenza. Assenza di gente,
di personale, di movimento, come se la morte fosse autorizzata in
contumacia a svolgere preventivamente gli obblighi preliminari.
La
stanza 252 contava quattro letti vuoti oltre quello occupato dalla
persona che volevo salutare, e un altro nell’angolo di sinistra,
dove un signore senza nessuno intorno sembrava dormire.
Ho
abbracciato la moglie che mi ha subito ringraziato della visita, poi
ho poggiato una mano su quella dell’anziano morente che ha aperto
gli occhi. Vedendomi ha scosso la testa e ha sorriso riconoscendomi,
con quel modo di fare che mi ha subito ricordato il babbo.
“Non
se ne leva le gambe” ha detto con un filo di voce; conosco
quell’atteggiamento ironico, di sfida, col quale si cerca di
esorcizzare la paura; nessun uomo è mai all’altezza dei suoi
drammi.
Tutti
conosciamo la situazione, anche lui: i reni hanno ceduto una
settimana fa, lo stomaco rifiuta il cibo e l’acqua, eppure al mio
fianco, la moglie ha iniziato a parlarmi di esami, di responsi in
arrivo, di tempi d’attesa, di colloqui col primario in ponte per la
prossima settimana.
Lui a
due metri di distanza scuoteva la testa sorridendo mentre lei
parlava, con gli occhi chiusi e le sopracciglia sollevate,
testimoniando il fastidio per le sue ingenue speranze, ma anche
affetto per quella donna che non s’arrendeva all’idea di restare
sola.
A un
certo punto lui l’ha fermata, ha iniziato a dirmi di salutare
questo e quello, cose da uomini insomma, la pietra tombale sulle
illusioni di lei, il suo modo di dirle “fattene una ragione, va
così”. Poi ha poggiato la mano sopra la mia e con un gesto
affettuoso e malinconico al tempo stesso ha cercato di stringerla con
le poche forze rimaste.
Ho
capito che mi stava congedando, così mi sono sporto un po’ sopra
il letto e l’ho baciato sulla fronte, chiaramente un addio. È
entrata un’infermiera col carrello per il mangiare. La moglie si è
subito messa ad apparecchiare il minuscolo tavolinetto a lato del
letto, e io ho pensato: “un uomo e una donna che sommano insieme le
abitudini” ecco la vecchiaia. Poi si è avventata sul piatto di
pasta in bianco al quale indubbiamente attribuiva capacità curative
che andavano ben oltre quella della medicina.
Quando
sono uscito dalla stanza lo stava implorando di mangiare altre due
penne, e io ho pensato: “ecco l’amore, più semplice di così”.
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