mercoledì 23 novembre 2016

Crocevia











Non ho molti ricordi di mia madre, e comunque nulla su cui potrei puntare il dito e dire : ecco, mi ricordo di quella volta che...
Invece ricordo benissimo l'odore della sua lacca per capelli, il suo rumore per casa, la sua collana di perle e i golfini di lana sulle spalle. Anche alcune piccole manie come quella per i fotoromanzi, per la cronaca nera, per i romanzi Harmony. Forse da piccola sognava una grande storia d'amore e non so se l'abbia trovata nel babbo, in quell'uomo che ciondolava dal sonno da mattina a sera e poi di notte scompariva per tornare al lavoro.
Non rideva neanche tanto la mamma, ed era immune ai facili entusiasmi. I miei amici la temevano, avvicinarsi a casa mia il pomeriggio era un'impresa che pochi si sentivano di affrontare, ma lei doveva pur proteggere il sonno di quel buon uomo che si era sposata e non aveva pietà per quei piccoli farabutti che suonavano il campanello chiedendo di me.
È morta giovane e tra qualche anno la raggiungerò, nel senso che avrò i suoi anni di quando se n'è andata. Questo pensiero mi toglie il fiato. Nessun bambino comprende che i propri genitori un giorno non ci saranno più, la sua visione del mondo si basa su poche indissolubili certezze, due delle quali sono nella stragrande maggioranza dei casi il babbo e la mamma.
La sua è una fiducia costruita nel tempo, che ha fondamenta solide, contabilizzata dalle loro spinte all'altalena e che si alimenta nello spazio intermedio che separa la veglia dal sonno, quando il profumo di uno dei due è ancora nell'aria e il bacio della buonanotte è sempre umido sulla fronte.
Ma così è, il tempo non si può fermare e rimpiangerlo è un esercizio che regala poche soddisfazioni.
Però ogni tanto il cervello si diverte a ricreare dal nulla quell'aroma particolare, d'intimità domestica, di cui erano intrisi i suoi golfini caldi, oppure il tono sfinito (di chi ha esaurito la pazienza, ma conserva intatta la riserva d'amore) con cui spesso chiamava il mio nome; e mi riappare in quegli istanti, sembra chiedere se ci sono novità.

mercoledì 11 maggio 2016

Assenza di movimento







Oggi sono andato a porgere l’ultimo saluto a un vecchio amico del babbo. È ora, si sa. 84 sono tanti, ma per chi è ancora perfettamente lucido e consapevole del rapido declino, magari no.
Quando sono entrato nel reparto di Geriatria la prima cosa che mi ha colpito è stata una pesantissima sensazione d’assenza. Assenza di gente, di personale, di movimento, come se la morte fosse autorizzata in contumacia a svolgere preventivamente gli obblighi preliminari.

La stanza 252 contava quattro letti vuoti oltre quello occupato dalla persona che volevo salutare, e un altro nell’angolo di sinistra, dove un signore senza nessuno intorno sembrava dormire.

Ho abbracciato la moglie che mi ha subito ringraziato della visita, poi ho poggiato una mano su quella dell’anziano morente che ha aperto gli occhi. Vedendomi ha scosso la testa e ha sorriso riconoscendomi, con quel modo di fare che mi ha subito ricordato il babbo.
Non se ne leva le gambe” ha detto con un filo di voce; conosco quell’atteggiamento ironico, di sfida, col quale si cerca di esorcizzare la paura; nessun uomo è mai all’altezza dei suoi drammi.

Tutti conosciamo la situazione, anche lui: i reni hanno ceduto una settimana fa, lo stomaco rifiuta il cibo e l’acqua, eppure al mio fianco, la moglie ha iniziato a parlarmi di esami, di responsi in arrivo, di tempi d’attesa, di colloqui col primario in ponte per la prossima settimana.
Lui a due metri di distanza scuoteva la testa sorridendo mentre lei parlava, con gli occhi chiusi e le sopracciglia sollevate, testimoniando il fastidio per le sue ingenue speranze, ma anche affetto per quella donna che non s’arrendeva all’idea di restare sola.

A un certo punto lui l’ha fermata, ha iniziato a dirmi di salutare questo e quello, cose da uomini insomma, la pietra tombale sulle illusioni di lei, il suo modo di dirle “fattene una ragione, va così”. Poi ha poggiato la mano sopra la mia e con un gesto affettuoso e malinconico al tempo stesso ha cercato di stringerla con le poche forze rimaste.

Ho capito che mi stava congedando, così mi sono sporto un po’ sopra il letto e l’ho baciato sulla fronte, chiaramente un addio. È entrata un’infermiera col carrello per il mangiare. La moglie si è subito messa ad apparecchiare il minuscolo tavolinetto a lato del letto, e io ho pensato: “un uomo e una donna che sommano insieme le abitudini” ecco la vecchiaia. Poi si è avventata sul piatto di pasta in bianco al quale indubbiamente attribuiva capacità curative che andavano ben oltre quella della medicina.

Quando sono uscito dalla stanza lo stava implorando di mangiare altre due penne, e io ho pensato: “ecco l’amore, più semplice di così”.


domenica 1 maggio 2016



                                                            "A gratis"  per un po'.



La storia di un ragazzo spogliato della propria adolescenza che cerca in ogni modo di farsi amare dalla propria madre e di salvare il fratello piccolo da un destino che pare già scritto.





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mercoledì 6 aprile 2016




Daniele ha poco più di dieci anni quando suo padre si ammala di Alzheimer e decide di abbandonare la famiglia, prima che il morbo faccia di sé qualcosa d’irriconoscibile. Non riuscendo a sostenere economicamente l’affitto di casa, Daniele, il fratello piccolissimo e la mamma, vanno presto alla deriva. Vengono sfrattati e riparano alla Montagnola, un campo rom alla periferia di Firenze, grazie all’intercessione di un lontano parente. 
Qui Daniele viene spogliato non solo dei suoi abiti e dei comfort della vita precedente, ma anche della sua stessa identità: diventa Nderim, un ragazzo senza posto, disprezzato dagli italiani perché zingaro e dagli zingari perché italiano. A peggiorare le cose ci si mette il fato: mentre gioca con dei petardi, perde un piede a seguito di un’esplosione e rimane storpio. 
Gli anni comunque passano e Nderim cresce. È alla soglia dei diciotto ormai quando la sua vita si intreccia con quella di una cassiera del supermercato in cui fa la spesa e con quella di un Professore di matematica in pensione, figure che risvegliano in lui il miraggio di una normalità ancora possibile, condita da affetti sinceri. 

È la storia di un'adolescenza abortita, di aberrazioni e soprusi. O più semplicemente, il racconto di una famiglia distrutta e di un ragazzo che, malgrado tutto, tenta di tenere insieme un'esistenza mutilata dal destino.

Ebook 0,99 centesimi   http://www.amazon.it/Sangue-randagio-Enrico-Aldobrandi-ebook/dp/B01DTOWUPG/ref=sr_1_2?s=digital-text&ie=UTF8&qid=1459902946&sr=1-2&keywords=enrico+aldobrandi

venerdì 4 marzo 2016

Punti di vista
















«Ciao, mi servirebbe una chiavetta».
«La vuoi da 4 giga, 8, 16?»
«Boh, non saprei... »
«Cosa ci devi salvare?, cosa sono, giochi, canzoni, film?»
«No, sono tutte poesie. Ne ho scritte un sacco, ho paura di perderle».
«Per quelle un giga ti basta e avanza, allora; le parole non pesano niente».







venerdì 29 gennaio 2016

Mentre ero in pausa








Stamani, durante una pausa di scrittura, mi sono messo a guardare fuori dalla finestra di camera. Non che si veda molto a dire il vero: facciate di palazzi, balconi, automobili parcheggiate, un po’ di cielo.
A un certo punto su un balcone è comparsa una vecchietta. Ho strizzato un po’ gli occhi per metterla a fuoco meglio e mi sono trovato a pensare con una punta di commozione: “Guarda chi c’è!”.
Commozione del tutto immotivata, inspiegabile, forse causata dalla clausura che mi sono autoimposto in questi giorni nel tentativo di scrivere una cosa che per il momento non vuole uscire.
Osservandola con maggiore attenzione, comunque, mi sono reso conto che quella vecchietta la conosco da sempre, ma a parte qualche anonimo incrocio sul marciapiede non mi sono mai reso conto realmente della sua esistenza; chi vive in città sa di cosa parlo.
So soltanto che tempo fa lei e suo marito hanno perso una figlia e questo lo so per certo perché i drammi degli altri ci restano ben impressi, molto più delle cose piacevoli che gli capitano.
Si è messa ad annaffiare dei fiori, poco dopo è arrivato anche lui, suo marito. È rimasto un po’ sulla soglia del davanzale a guardarla, poi ha iniziato parlare gesticolando in direzione dei vasi. Si sono scambiati qualche parola, poi lui ha mosso qualche passo deciso verso di lei e dopo averle passato un braccio attorno alle spalle le ha dato un bacio su una guancia, e sono rimasti un po’ così.
Ero troppo distante per vedere se fosse arrossita ma sono convinto di sì perché oltre al sorriso che le si è disegnato sulle labbra alla vecchietta hanno iniziato a tremare le mani, infatti, l’acqua con la quale stava annaffiando i fiori ha iniziato ad andare qua e là, e per un attimo, incontrando il giusto angolo di sole, si è tinta con i colori dell’arcobaleno.