Da qualche
giorno a questa parte sono costretto (non per problemi miei) a recarmi quotidianamente
in ospedale. Arrivo, parcheggio lo
scooter e sopraffatto dai pensieri che assillano un po’ tutte le persone quando
varcano la soglia di un nosocomio, non ho dato alla mente il tempo di prestare
attenzione alla coppia di pini sotto i quali piazzo quasi sempre il motorino.
Ma oggi sì; oggi è stata davvero una buona
giornata, piena di belle notizie, e uscendo rinfrancato si vede che il pensiero
si è accordato con lo sguardo permettendomi di farci caso.
A giudicare dalla larghezza dei tronchi alla
base è chiaro che sono stati piantati lo stesso giorno di chissà quanti anni
fa, ma uno dei due nel corso degli anni ha preso il sopravvento sull’altro
cingendolo in un abbraccio fraterno ma letale; infatti gli ruba la luce essendo
più alto, i suoi rami si allungano intrufolandosi tra quelli del gemello
soggiogato (che a un certo punto piega verso di lui come chi cerca con la
fronte una spalla solida sulla quale piangere) e a giudicare dalle possenti
radici che hanno già dissestato il manto stradale in cerca di acqua, è
probabile che gli rubi anche quella e che prima o poi finirà col farlo morire.
Ma il gigante maldestro non lo sa, e continuerà
a strangolarlo anche quando al fratello
inizieranno a tagliar via i primi rami indeboliti, perché la natura non uccide
con cognizione o per piacere, la natura quando uccide lo fa per rigenerarsi più
forte di prima; agli uomini al massimo spetta l’illusione di averla arginata ma
mai la certezza di averla domata, e quell’asfalto bitorzoluto ne è la riprova.
In alto, nascosti
tra i rami, sopra le teste e i pensieri della gente, cinguettano nella loro
lingua sconosciuta i passerotti; un vocio allegro che rasserena l’animo, un
frullare d’ali continuo col quale gli uccellini, ignari di tutto, si giurano di
esistere.
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